Inghilterra, nel nome dell’aborto è vietato il segno della croce

Di Caterina Giojelli
20 Ottobre 2022
Bournemouth dichiara zona protetta dai prolife le vie intorno a una clinica per le interruzioni di gravidanza. Vietato pregare, vegliare, segnarsi, comportamenti molesti quanto l'abuso di alcol
La “safe zone” intorno alla clinica per aborti di Bournemouth che bandisce i pro-vita
La “safe zone” intorno alla clinica per aborti di Bournemouth che bandisce i pro-vita (foto da Twitter)

Vietato fare il segno della croce, qui c’è gente che vuole l’aborto. L’idea di istituire una “safe zone” intorno a una clinica abortista e piazzare cartelli con l’elenco dei comportamenti vietati nell’area è venuta all’amministrazione di Bournemouth, nel Dorset, sud dell’Inghilterra.

Dal 13 ottobre infatti nelle vie adiacenti al centro gestito dal British Pregnancy Advisory Service in città è in vigore la nuova ordinanza a protezione degli spazi pubblici (Pspo), e tale resterà per i prossimi tre anni, per 12 ore al giorno, cinque giorni alla settimana. In pratica, chiunque verrà sorpreso tra le 7 del mattino e le 7 di sera a pregare, vegliare, segnarsi, usare acqua santa, manifestare o “intimidire” le donne che vanno ad abortire o il personale della clinica potrà incorrere in una sanzione da 100 sterline o rischiare una condanna in tribunale.

Vietato pregare vicino alla clinica per l’aborto

Vietatissimo anche leggere, brandire, agitare, mostrare «testi o immagini relativi direttamente o indirettamente all’interruzione della gravidanza e/o riproduzione di musica, voce o registrazioni audio amplificate». I gruppi abortisti esultano, rivendicando al contempo una legge che garantisca “zone cuscinetto” a tutte le cliniche del Regno Unito: ad oggi infatti solo Bournemouth, Ealing, Twickenham, Manchester e Birmingham hanno emesso ordinanze che impongono il silenzio nei paraggi delle cliniche.

https://twitter.com/gavinashenden/status/1581542792097984512

E così il segno della croce e la preghiera finiscono nel calderone dei comportamenti criminalizzati dalle amministrazioni inglesi a mezzo Pspo, lo stesso strumento, per capirci, utilizzato per vietare “linguaggio volgare e offensivo” nell’area di Quays, a Salford, lungo le vie che portano allo stadio Old Trafford, o vietare il consumo di alcol per strada o ancora il bivacco dei senzatetto in androni e parcheggi. Con la differenza che a nessuno verrebbe in mente di spezzare una lancia a favore della libertà di espressione (rivendicata a Salford) o della tutela degli emarginati quando si parla di anti-abortisti, capaci del «bullismo peggiore» secondo le femministe prochoice dell’area.

«Anche se preghi in silenzio le donne si sentono giudicate»

Il Guardian ha raccontato la storia di Thea, 21 anni, che non riusciva a prendere sonno la sera che ha assunto la prima delle due pillole previste dalla Ru486 per colpa delle donne che fuori dalla clinica di Bournemouth distribuivano volantini: «Ho passato molto tempo a pensare di aver preso questa decisione terribile e di aver commesso un errore enorme, ma alla fine l’aborto è assistenza sanitaria. Non staresti fuori da un ospedale e non faresti questo a nessun altro paziente in cerca di cure».

L’ordinanza è scattata al termine di una consultazione pubblica (il 75 per cento dei 2.241 intervistati era favorevole al Pspo) dopo una serie di denunce raccolte dalla coordinatrice della clinica Caroline Brooks in nove grossi faldoni: «Le donne si sono lamentate di essere state seguite fino alla clinica o avvicinate quando se ne sono andate. Si sono lamentate del fatto che è stato detto loro che “il bambino li ama” o chiesto se sapevano che in quella struttura venissero “uccisi i bambini”». Una cliente dice di aver dovuto guidare sconvolta per molte ore per colpa delle parole dei manifestanti, «il tuo bambino vuole vivere», «Anche se stai pregando in silenzio e in modo discreto, le donne che entrano in clinica sanno di essere giudicate», denuncia una volontaria di Sister Support Bournemouth, il gruppo che ha avviato la campagna per la zona cuscinetto.

Al bando le sfigate prolife di Juno

Sentirsi giudicate, ecco il problema. La violazione di un Pspo è un reato penale soggetto a una multa o a una pena, e non c’è bisogno di spiegare dove porti la riduzione di un attività come la preghiera a comportamento antisociale o molesto pari a quello di chi abusa di alcol: «Sebbene riconosciamo il diritto di chiunque a condurre una protesta pacifica, abbiamo dovuto bilanciare questo con il disagio causato o che potrebbe essere causato e l’impatto dannoso dei comportamenti vissuti da coloro che accedono ai servizi medici o svolgono il loro lavoro», dice il comunicato stampa pubblicato dal consiglio di Bournemouth.

Tuttavia l’ordinanza ha ben poco a che vedere con il “lavoro” portato avanti nella clinica e molto con lo scongiurare un esito diverso dalla prospettiva propinata da tali lavoratori alle donne incinte. Ci eravamo già chiesti di cosa avessero paura i cultori della religione del dubbio tanto da ricorrere alla galera per chi non la pensa come loro quando la Spagna dell’aborto “spensierato” (no ai tre giorni di riflessione, no al consenso dei genitori per i minori, no ai camici obiettori, sì alle pene per i gruppi provita), grazie a un reato di intralcio all’aborto à la francese annunciava punizioni col carcere per chiunque fosse stato sorpreso pregare o dare informazioni nei pressi di una clinica dove si eseguono interruzioni di gravidanza. Ci eravamo già chiesti perché nell’happy end del Psoe, tutto autodeterminazione, diritti, eutanasia, non ci fosse posto per la sfigata prolife che fa cambiare idea a Juno.

Il disprezzo per i feti e quello per la fede

Ce lo chiediamo anche oggi che le amministrazioni appendono cartelli che segnalano la “zona rossa” off limits per gli agitatori di coscienza e i rosari attorno a una clinica già contestata da un rapporto della Care Quality Commission, un’autorità di regolamentazione indipendente che ha rilevato non solo che la clinica eseguiva aborti prima del completamento delle procedure legali e necessarie, ma che «non sempre forniva assistenza e cure seguendo le attuali linee guida nazionali per garantire che i resti della gravidanza fossero trattati con rispetto».

Il disprezzo per i resti corporei dei feti abortiti è inconciliabile con le manifestazioni di chi li chiama “bambini”. Ma quello per il segno della croce e la preghiera come si concilia con il diritto «alla libertà di avere pensieri e convinzioni personali, ma anche la possibilità di esprimerli individualmente o con gli altri, pubblicamente o in privato»?

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