Informazione in vacca (pazza?)

Di Emanuele Boffi
25 Gennaio 2001
“È vero che il fossato tra comunità scientifica e organi di informazione pubblica si allarga? Davvero il caso ‘mucca pazza’ è sintomo di un “giornalismo irresponsabile e dilettantesco?” L’atto di accusa del professor Giuseppe Succi, direttore dell’Istituto di Zootecnia Generale dell’Università degli Studi di Milano. E un paio di domande da un milione di dollari.

Professor Succi, che certezze può avere uno scienziato sul caso “mucca pazza”?
Ogni giorno mi arrivano telefonate allarmatissime, anche di gente comune per chiedermi un parere. Ieri sera mi han chiamato addirittura a casa. Ma il problema qual è? Di grosse certezze in definitiva non ne abbiamo. Perché chi deve fare i controlli sulla trasmissibilità della malattia, di questo prione infetto, non ha ancora sciolto le ultime riserve sul passaggio né da animale ad animale né, tanto meno, da animale a uomo. Secondo: quant’è il tempo d’incubazione? Nessuno lo sa dire. Si parla addirittura di un periodo variabile tra i 5 a i 30 anni. Come si può fare un minimo di collegamento serio e sicuro di causa-effetto? Siamo veramente in presenza di un giornalismo irresponsabile e molto dilettantesco.
A suo parere si è dunque lanciato un allarme senza però attestarsi su basi scientifiche solide?
Basi scientifiche sicure non ci sono. La variante che gli inglesi hanno riscontrato nei loro studi recenti è molto diversa da quella di cui si sta parlando in Italia. Creutzfeldt e Jacob trovarono queste invasioni cerebrali nel ’28, ma erano un’altra cosa. È come parlare di influenza e di morbillo. Son tutti e due virus però hanno comportamenti molto diversi. Anche questi studiosi del cervello hanno i loro dubbi e non sanno come classificare queste encefalopatie. Forse l’unica certezza è che colpisce il cervello dei vertebrati. Si instaura un processo infettivo a distanza di anni dall’assunzione per motivi che sfuggono con un meccanismo ancora sconosciuto e che, comunque, determina una serie di alterazioni a livello di tessuto cerebrale. Diventa spongiforme, si hanno delle manifestazioni esteriori abbastanza caratteristiche, nell’uomo dopo i 60-70 anni. Recentemente si sono evidenziate queste varianti giovanili che destano sospetti e quindi è necessario e doveroso indagare, andare a fondo. Io tendo a pensare che il tessuto muscolare degli animali allevati non possa essere infettato dal punto di vista endogeno. Ma se, ad esempio, un macellaio taglia la parte collegata alla colonna vertebrale, dove probabilmente questi prioni si instaurano, e poi va a toccare un muscolo con lo stesso coltello inquinato non si può escludere la trasmissione meccanica dell’infezione. È opportuno ribadire che gli organi ed i tessuti a rischio sono il cervello, il midollo spinale, il timo, le tonsille, la milza e l’intestino.
Che tipo di risposte possono dare i test a cui i bovini vengono sottoposti?
Questi test rilevano solo la presenza o l’assenza della proteina infetta. Ma non ci permetteranno di risalire alle vere cause. Molte delle domande rimangono insolute. Si pensi al caso della vacca 103. Questa bovina nasce nel ’94 nella stalla del signor Greci di Pontevico (BS), prende il primo latte dalla madre, compie il suo normale accrescimento ed inizia la carriera produttiva e riproduttiva come avviene per tutti gli animali dei nostri allevamenti. All’età di sei anni decidono di scartarla, la trovano portatrice del prione e la ritengono quindi malata. Ma come ha fatto ad ammalarsi? Il Sostituto Procuratore di Brescia, ad esempio, ha escluso che la Comazoo, il mangimificio che serviva il signor Greci, abbia mai usato nella produzione dei mangimi concentrati le farine di carne incriminate, cioè infette. Allora la vacca 103 come ha fatto ad “impazzire”?
Una domanda da cento milioni di dollari.
Altra domanda spinosa: è il caso di macellare 100 o 200 capi perché ne han trovato uno che era casualmente infetto? Come facciamo a prenderci questa responsabilità? Di far fuori un patrimonio di oltre un miliardo? Son venti, trent’anni che questi allevatori selezionano, studiano nuovi metodi per migliorare la propria produzione. E noi che facciamo? Li inceneriamo. Siamo veramente nel dilettantismo e nell’improvvisazione più totali. Allora, in una vicenda del genere i media non si devono prestare a dar rilievo a dichiarazioni emotive dettate da chissà quale logica. I quotidiani hanno quattro pagine ogni giorno di “bla bla”. I nostri Ministri dovrebbero essere molto più prudenti nelle esternazioni non avendo a disposizione riferimenti e validazioni scientifiche univoche e incontrovertibili.
La gente, allarmata dai toni urlati dei mass media e di certi politici, finisce per intimorirsi o, nel migliore dei casi, a sentirsi spaesata.
E la gente ha ragione perché si tratta della propria salute. Due frasi estrapolate da un discorso articolato, un paio di virgolette, un titolo “urlato” e il gioco è fatto. Sono tiri mancini in cui cascano i politici malati di protagonismo ed anche illustri colleghi. Ci rendiamo conto di quello che stiamo facendo? C’è di mezzo la salute ed è quindi giusto andare fino in fondo. Ma, attenzione, rischiamo di mandare all’aria un patrimonio di animali costruito in molti anni di onesta attività e di rovinare centinaia, migliaia di famiglie di allevatori e di operatori dei settori coinvolti.
Siam partiti dalla mucca pazza ma poi è diventata “pazza” anche il resto della fattoria. Ora si teme anche per il dado, il latte e il cavallo.
In biologia, in mancanza di certezze scientifiche niente può essere escluso. Se viene il sospetto che possa passare nel pesce perché ha mangiato una farina animale “infetta”, allora si può affermare che il pesce può divenire portatore del morbo. Finora è un caso che non si è mai verificato ma non lo si può escludere a priori. Però, un conto è presumerlo e ipotizzarlo e quindi studiare, un conto è lanciare un allarme senza nessun riscontro scientifico. Per quanto riguarda il latte l’allarme lanciato, a mio avviso, ha dell’incredibile. In questo caso gli esperimenti fatti finora hanno escluso il passaggio del prione alla mammella e quindi al latte da essa secreto. L’opinione pubblica è di una sensibilità estrema su questi temi, occorre essere molto cauti e soprattutto occorre fare informazione corretta e documentata.

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