Per non restare indifferenti all’aborto ci vuole cuore

Di Gloria Amicone
11 Luglio 2022
Per non rimanere moralmente estranei all'olocausto dei bambini bisogna, come diceva Pasolini, riscoprire «di avere un cuore»

Una decina di giorni fa Chiara Ferragni ha postato sulla sua pagina Instagram una foto che la ritrae insieme a Liliana Segre davanti a un lungo muro lacerato con inciso in grande la parola «Indifferenza».

La scritta si trova nell’atrio principale del memoriale della shoah di Milano dove tra il 1943 e il 1945 dal binario 21, furono deportati bambini, donne e uomini. Tra questi l’allora quattordicenne Liliana Segre che ha organizzato questa visita con l’influenzer con lo scopo di sensibilizzare i più giovani.

Qual è la differenza

Un’iniziativa interessante. Se non che in quegli stessi giorni Chiara Ferragni condivideva la sua totale indignazione verso quei giudici “disumani” che hanno abrogato la sentenza Roe vs Wade. Ma c’è forse differenza tra l’indifferenza di allora verso i bambini ebrei deportati e buttati nelle camere a gas e l’indifferenza verso i feti di 24 settimane, anche 35 a New York, scorticati in cliniche come la Planned Parenthood e buttati nei bidoni?

Entrambi scarti, entrambi buttati senza che nessuno abbia visto e veda, mentre fuori la metropoli vive il suo solito tran tran tra lavoro e ricercata spensieratezza. L’unica differenza, importantissima differenza, rimane il dramma in gioco della donna. Ma anche per il dramma oggi si prova una totale indifferenza e si vorrebbe eliminare.

Cosa disse Ferrara

Giuliano Ferrara nel 2008 quando propose la moratoria sull’aborto, chiedendo che la vita fosse tutelata dal concepimento, diceva (Il Cittadino Monza 7 febbraio 2008/Incontro binario 7): «L’aborto si sta trasformando, e questo è il segno drammatico del nostro tempo, da legale in legittimo, da possibilità legale in legittima estrinsecazione del diritto del sopprimere una vita umana in nome della propria libertà. È diventato, questa è la forma che io uso perché credo sia quella vera, quella che va a fondo della questione, moralmente indifferente». Moralmente indifferente.

Prosegue: «Tutto quello che era trauma, applicazione, dibattito serrato, lotta, conflitto, applicazione dell’intelligenza degli uomini e delle donne, del loro cuore a questa questione, a poco a poco nel corso dei decenni, – con queste cifre, con queste abitudini, con questo intersecarsi di aborto, contraccezione, nuove modalità di aborto, la pillola Ru486 (…) – l’aborto diventerà come era all’origine: ancora un aborto clandestino, l’aborto clandestino che si voleva combattere, una cosa tra la cucina, il tinello di casa e il bagno».

Due atri e due ventricoli

Sono passati quattordici anni. Vengono i brividi a pensare che questa visione premonitrice si sia avverata. Quell’applicazione dell’intelligenza e del cuore da cui è nata la legge 194/78 che per quanto sia ingiusta nel non riconoscere la potenza dell’embrione e il valore di ogni vita, riconosce l’atto del feto e scongiura l’aborto che ammazza sia il figlio che la mamma, sembra non esserci più.

Quegli uomini e quelle donne come Adriana Seroni – dirigente del Pci e protagonista nel riconoscimento dei diritti delle donne -, non hanno considerato che quella piccola possibilità sarebbe diventata, con acriticità ed estremismo, un preteso diritto. Senza intelligenza e cuore. Cuore. Quell’organo che inizia a battere al 23° giorno dal nostro concepimento e che alla sola ottava settimana è come quello di un adulto – quattro camere (due atri e due ventricoli) – in dimensioni ridotte (Il volto umano dell’embrione, Roberto Colombo).

Avere un cuore

“Cuore”. Il titolo che diede Pier Paolo Pasolini a un articolo del 1° marzo 1975 scritto per il Corriere della Sera, e contenuto in Scritti Corsari, in cui scrive: «L’essere incondizionatamente abortisti garantisce a chi lo è una patente di razionalità, illuminismo, modernità ecc. Garantisce, nel caso specifico, una certa “superiore” mancanza di sentimento». E più avanti, in risposta a un articolo di Italo Calvino: «Ora Calvino – sia pure indirettamente e col rispetto di una polemica civile – mi rimprovera un certo sentimentalismo irrazionalistico, e una certa tendenza, altrettanto irrazionalistica, a sentire una ingiustificata sacralità della vita. Per quanto riguarda una discussione diretta, limitata all’aborto, vorrei ribadire a Calvino che io non ho mai parlato di una vita in generale, ma ho parlato sempre di questa vita, di questa madre, di questa pancia, di questo nascituro».

E conclude: «Non bisogna aver più paura – come giustamente un tempo (tempo clerico-fascista) – di non screditare abbastanza il sacro o di avere un cuore».

Per non rimanere indifferenti, moralmente indifferenti, di fronte all’olocausto, di fronte alla vita di questo bambino e al dramma di questa donna, che per portare avanti una gravidanza ha bisogno di questi aiuti – banalmente di un sussidio di maternità che in America non c’è – c’è bisogno di questo cuore. Per non rimanere moralmente indifferenti di fronte all’aborto c’è bisogno di scegliere se essere pragmatici come Calvino o esistenziali come Pasolini che, come direbbe Oriana Fallaci, pur non credendo alla vita cantava un inno all’amore.

Foto Ansa

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.