Contenuto riservato agli abbonati
La morte di Indi Gregory, la bambina affetta da aciduria combinata D,L-2-idrossiglutarica (D2L2AD), un difetto rarissimo del metabolismo energetico aerobico, non ha chiuso la dolorosa controversia sanitario-assistenziale e giurisdizionale che è bruciata attorno a lei dentro e fuori il Regno Unito. All’opposto, ha riacceso potenti domande su quello che la vita di un figlio è per i suoi genitori e quello che la vita di un malato è per i medici e gli infermieri che lo hanno in cura. Quello che “è” dinnanzi a me e per me, prima di quello che “chiede a me”.
L’essere genitori o medici non è un ruolo, un ufficio cui corrispondono diritti e doveri (spesso tra loro confliggenti), ma una relazione che impegna l’esistenza e la sua libertà-responsabilità in un rapporto che sfida il cuore della nostra vita. Un rapporto esigente, cioè che fa uscire allo scoperto il nostro “io” (ex-àgere, “tirare fuori”), che mi interpella, incalza.
La vita di una bambina inguaribile (figlia o paziente che ...
Contenuto a pagamento
Per continuare a leggere accedi o abbonati
Abbonamento full
€60 / anno
oppure
Abbonamento digitale
€40 / anno