
Indennizzeremo pure gli schiavisti
Hanno davvero una bella faccia tosta questi capi di Stato africani che, il nigeriano Obasanjo in testa, intendono utilizzare la Conferenza dell’Onu sul razzismo che si apre questa settimana per chiedere “riparazioni” in moneta sonante ai paesi occidentali coinvolti nella tratta transoceanica degli schiavi africani. Certo, non sono gli unici che guardano all’appuntamento di Durban come ad un’occasione per fare tombola in termini finanziari o politici: ci sono i movimenti per i diritti civili che vorrebbero costringere il governo Usa ad indennizzare i discendenti degli schiavi afro-americani e i governi dei paesi arabi che vorrebbero, come già avvenuto in passato, ottenere in sede Onu l’equiparazione di razzismo e sionismo. Costoro hanno già ottenuto un risultato, che non denota grande intelligenza politica: hanno fornito a Bush i migliori pretesti per boicottare il summit. Ma il caso degli stati africani che domandano indennizzi in nome delle vittime della tratta merita attenzione perché rappresenta la logica conseguenza finale di un falso storico pazientemente costruito e divulgato dai terzomondisti di tutti i continenti: il falso storico che vuole l’Africa vittima di un olocausto attuato nei suoi riguardi dai bianchi.
La realtà storica è molto diversa, ed è che gli africani sono sempre stati contemporaneamente vittime e carnefici dello schiavismo per due decisivi motivi: il primo è che la schiavitù è stata un’istituzione fondamentale delle società africane fino a tempi molto recenti, il secondo è che essi stessi hanno partecipato alla tratta transoceanica non solo come deportati, ma anche come deportatori. Ha scritto la settimana scorsa uno storico di sinistra come Aurelio Lepre: «Le colpe vanno equamente distribuite: se gli occidentali compravano schiavi, erano i regni islamici e neri dell’Africa a venderglieli». Il commercio di schiavi è stato per secoli il grande affare dei regni africani del golfo di Guinea come quelli di Asante, Oyo, Dahomé, ecc. e dei mercanti arabi del Sahel. La cattura e la compravendita di schiavi, poi, è stata sempre molto intensa all’interno del continente: secondo Patrick Manning, autore nel 1990 di Slavery and African Life, sarebbero 15 milioni gli africani schiavizzati da altre tribù nei quattro secoli fra il 1500 e il 1900; non molti di meno di quelli imbarcati e deportati nello stesso arco di tempo nelle Americhe o nei paesi arabi (le stime più attendibili oscillano fra i 18 e i 30 milioni). Nemmeno la Procura di Milano o quella di Venezia sarebbero in grado oggi di ricostruire i fatti, distinguere le vittime dai carnefici, fissare gli indennizzi. Obasanjo, per esempio, potrebbe essere il discendente di uno schiavista o di un deportato. Oppure di una terza, curiosa figura: gli schiavi yoruba liberati che, di ritorno dal Brasile, si davano essi stessi al commercio di schiavi. C’erano pure loro. Che facciamo coi loro discendenti, li indennizziamo o li condanniamo a pagare i danni?
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!