
Incubo industriale in Transilvania
La famiglia Gavazzi è una delle più antiche famiglie imprenditoriali in Italia. Per tradizione, nella famiglia Gavazzi l’imprenditoria non è mai stata disgiunta dal sociale, un modello che anche le generazioni di oggi hanno cercato di riprodurre. Ci hanno provato nell’Est europeo, con quali vicissitudini, cominciate nel 1999 e a tutt’oggi non ancora concluse, ce lo racconta l’imprenditore Stefano Gavazzi. «Avevamo comprato in Romania una società che da sola mantiene tutta una valle, la Otelu Rosu, Acciaio Rosso, con 3500 dipendenti e relativo indotto, messa all’asta dal governo. Avevamo trovato i finanziamenti per farne la prima acciaieria d’Europa, era pronta una cordata per investire 55 miliardi. Invece non è stato possibile».
Com’è possibile? In Romania pare che oggi lavorino 5mila imprese italiane…
Certo, ma non hanno avuto la “presunzione” di acquistare dallo Stato. Noi siamo subentrati in una fabbrica con debiti pre-esistenti per 53 milioni di dollari. Abbiamo controfirmato una clausola che i debiti verso il budget dello Stato dovevano essere scaglionati, e gli interessi passivi cancellati, con l’allora Primo Ministro Radu Vasile, il Ministro delle Finanze Remesc, il Ministro del Lavoro Attanasio, il Ministro della Sanità Gabor e il Ministro delle Privatizzazioni Serbu. Documenti in ordine, stabilito tutto, partiamo, ma il primo giorno di lavoro il governo ci ha bloccato i conti in banca. Qualunque cifra passasse per il nostro conto veniva requisita per pagare il debito. Così abbiamo dovuto lavorare per tre anni col baratto, facendoci saldare le bollette, o pagare la materia prima pur di non passare per le banche. Ci hanno messo contro i sindacati, sobillando i lavoratori, accusandoci di tutto quello che ci provocavano loro. Ciononostante, in due anni avevo portato il debito da 53 milioni di dollari a 17. Un giorno affidai 20mila dollari a un impiegato perché comprasse il rottame, la materia prima. Questo diede le dimissioni e sparì. Io lo denunciai, e mi ritrovai accusato di «dissipazione delle sostanze della società». Mi ritirarono il passaporto e per poco non finii in prigione. Mi ritrovai con un’incriminazione penale, due anni con la condizionale.
Com’è possibile?
Con le vecchie leggi comuniste ti possono sempre condannare. Mi hanno tolto il passaporto in base a una vecchia legge che era già stata abrogata. Con le leggi rumene è sufficiente ci sia un assegno non pagato subito che scatta l’arresto immediato. È un sistema per mandare via quelli che danno noia perché riescono a far andare avanti le fabbriche, perché gli operai possono pensare che sia meglio andare con questi. Il partito ci perderebbe.
Come è andata a finire?
A quel punto mi sono ammalato, sono dovuto venire in Italia per operarmi. Nel giro di 15 giorni da quando sono partito, giocando sul fatto che il direttore non aveva pagato l’energia elettrica, hanno requisito la fabbrica. Quando ha pagato l’elettricità, gli hanno tolto il gas! Adesso lo Stato ha chiesto di rescindere il contratto dicendo che vuole subentrare a noi una società russa. Secondo loro gliela dobbiamo restituire così, per nulla. Dopo che ho messo 8 milioni di dollari… E a ogni cambio di mano, si capisce, girano le bustarelle.
Ma gli operai, capivano la situazione?
Una parte comprendeva, ma anche loro ormai sono disillusi. I sindacati capivano che non ci avevano dato gli scaglionamenti. Sono ancora quelli di prima. Davi un ordine e non lo eseguivano perché il partito diceva di non eseguirlo. Ho trovato gente che rubava, li ho licenziati, ma il pretore li ha reintegrati.
Senza questo ostruzionismo, che mete avrebbe potuto raggiungere?
La fabbrica sarebbe stata pagata in un anno, in due anni sarebbe diventata la prima azienda europea dal punto di vista tecnologico.
Adesso che prospettive ci sono?
Speriamo nell’aiuto del governo italiano e dell’Unione europea.
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