In morte di Severino, il filosofo che pensava di non morire

Di Renato Farina
12 Febbraio 2020
Negare l’umano, carissimo Emanuele (che tra l’altro significa Dio-salva), nega l’Essere che tu amavi. Ora vedrai meglio, noi crediamo con certezza pari alle tue
Emanuele Severino

Articolo tratto dal numero di febbraio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

È morto un grande filosofo, era italiano ma famoso nel mondo. Ma lui sostiene di non essere mai morto, perché la morte non esiste. Noi non possiamo passare dall’essere al non essere, così come il nulla non può passare all’essere. In età di pensieri deboli, lui comunicava una forte certezza. L’essere c’è, il non essere non c’è. Il divenire ,che è passaggio dall’essere al non essere, è una illusione, e serve a precipitare la nostra mente nel nichilismo.

Sto scrivendo di Emanuele Severino. È deceduto a 91 anni. Era una persona dolcissima nei rapporti personali. Ebbi dialoghi con lui, e pareva di intrattenersi con un sapiente ateniese, anzi più precisamente eleatico. Cioè il luogo dove Parmenide stabilì i cardini del pensiero classico. Poi vennero Platone, Aristotele, Agostino e Tommaso d’Aquino e hanno confuso l’umanità. Non esiste il Motore immobile. Non esiste un Dio trascendente. Cristo non è il Verbo incarnato e diventato uomo, perché l’Eterno non può entrare nel tempo, vorrebbe dire che l’essere attraversa il nulla, e il nulla non esiste, il tempo non c’è.

Banalizzo, noi Molokani siamo esseri banali. Ma la sostanza è questa. L’esperienza non può essere il luogo in cui Dio si fa presente.

Però, diceva un “però” formidabile. Che liberalismo (capitalismo) e comunismo hanno avuto un torto enorme: aver ucciso il Dio cristiano, il quale non c’era, ma era un mito formidabile che garantiva una morale insuperabile, perno di una convivenza stabile. Il Dio trinitario è stato ucciso nell’Ottocento. Resta da capire se sotto la lastra marmorea con i poveri resti, peraltro sputacchiati a suo tempo da positivisti e comunisti, stia preparando la sua resurrezione. L’idea prevalente però è che nulla faccia presagire il suo ritorno sulla scena. In tempi di pensiero debole, si sta pitturando con l’acquarello un Dio unico, così insipido da essere la larva di un fantasma (vedi Scalfari).

In realtà il credo dominante si affida come demiurghi alla Scienza e alla Tecnica, una coppia che dovrebbe darci a breve l’immortalità, proiettandoci verso un’ecologia, che è l’altro nome del nichilismo, perché è un’illusione guarire il mondo dal baco del non essere. Basta non credere al non essere, non credere al tempo, placarsi da questa smania di trasformazione, poche serene amicizie, un amore, e la morte non ci vedrà mai con i suoi occhi.

Due cose mi dice Severino. Uno. Si va verso l’abisso, se si continua a perseverare in questa fede assurda nella capacità dell’uomo di salvarsi. Due. Non c’è nessun Dio che possa salvarlo. Questo ha continuato a ripetere, ammirato e onorato, Severino. Ma nessuno prende sul serio le sue parole.

Siamo così. Fuggiamo dalle domande decisive. Tutti incantati dalla purezza d’animo e di scrittura ne abbiamo salutato con commozione la scomparsa il 17 gennaio. Tutto è accaduto nel nascondimento, e si è saputo tutto dopo i funerali: per lui la parata pubblica sarebbe stata una negazione della sua filosofia. Le convinzioni di Severino riguardo al totalitarismo presuntuoso e nichilista della Scienza e della Tecnica sono di una pregnanza tale che dovrebbero costringere tutti gli esseri pensanti protesi al “progresso” (parola menzognera) a girare con il sacco di iuta addosso.

Ma sul resto? Davvero non è possibile sperare e la sola cosa sensata è annegarci nell’Essere immutabile? Questo è ciò che a noi Molokani preme di più. Filosoficamente gli rispose l’immenso (e dimenticato) Gustavo Bontadini, che era stato suo maestro, e che oppose alle argomentazioni dell’allievo l’estrema logicità e pertinenza razionale della creazione. Ma questo non tocca a me spiegarlo. Io so che l’uomo non si sazia nell’acqua di Parmenide e di Severino. La pienezza dell’Essere non può essere questa miserabile insensibilità di Dio per il dolore e il desiderio di questi enti che pensano l’infinito, quali noi siamo. Non ci basta pensare l’infinito. Vogliamo conoscerlo nel senso totale del concetto biblico di conoscenza. Abbracciare ed essere abbracciati.

Negare l’umano, carissimo Emanuele (che tra l’altro significa Dio-salva), nega l’Essere che tu amavi. Ora vedrai meglio, noi crediamo con certezza pari alle tue.

C’è un frammento di Eraclito, sul quale meditavi, che sosteneva:

«Quando gli uomini sono morti, li attendono cose che essi non sperano, né suppongono».

E ce n’è un altro di Goethe:

«È giunto il tempo di riaccendere le stelle».

La Cometa sparì alla vista dei Magi, poi riapparve.

Foto Ansa

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