
In Congo vanno in scena le elezioni più complesse del mondo

Giovedì si è conclusa, con un giorno di ritardo, una delle tornate elettorali più complesse da organizzare al mondo. Si tratta delle elezioni nella Repubblica democratica del Congo, paese enorme dell’Africa centrale, grande un quarto dell’Europa, povero e carente dal punto di vista delle infrastrutture ma ricchissimo di risorse cruciali per la nuova economia digitale e green, che ha chiamato la popolazione alle urne per scegliere, oltre al nuovo presidente e al rinnovo dei Parlamenti nazionale e provinciali, anche i governi locali.
Centomila candidati in Congo
Quarantaquattro milioni di congolesi registrati sulle liste elettorali, su 100 milioni di abitanti, sono stati chiamati mercoledì a votare per 100 mila candidati in 75 mila seggi sparsi per tutto il paese. Soltanto i politici in corsa per la carica di presidente sono 19. In alcuni casi, ci sono fino a 900 candidati tra cui scegliere per la stessa posizione.
Cosa poteva andare storto in un paese dove la povertà è diffusa, le strade sono poche e malmesse, la corruzione dilagante e dove un conflitto sanguinoso tra esercito e 120 fazioni di ribelli rende inaccessibile parte dell’est del paese, impedendo a 1,5 milioni di registrarsi per votare e costringendo centinaia di migliaia di civili alla fuga?
Confusione prima del voto
Fatte salve le oggettive difficoltà logistiche cui doveva far fronte la Ceni, la Commissione elettorale nazionale indipendente da tutti giudicata per niente indipendente ma troppo vicina al presidente uscente, Félix Tshisekedi, il voto è stato un disastro.
I problemi sono iniziati ancora prima che iniziassero le votazioni: le liste elettorali, innanzitutto, non sono state verificate e debitamente aggiornate, così da rendere difficile in molte zone del paese capire dove la gente dovesse andare a votare. I documenti dove registrare i risultati sono arrivati stampati nella capitale Kinshasa meno di due settimane prima del voto, rendendo praticamente impossibile la consegna per tempo ai singoli seggi elettorali, soprattutto in aree difficili da raggiungere.
In molti casi, secondo l’Associated Press, l’inchiostro di scarsa qualità utilizzato per stampare le schede era scolorito e illeggibile già una settimana prima del voto.

L’opposizione denuncia: «Caos totale»
Mercoledì fin dalle prime ore del mattino è successo di tutto: in molti seggi, innanzitutto, mancavano le liste elettorali, circostanza che aumenta a dismisura la probabilità di brogli. In altri, non c’erano le schede per votare. Alcuni hanno aperto in ritardo, altri sono rimasti chiusi tutto il giorno. Diversi seggi sono stati invece saccheggiati dalla folla arrabbiata per i disagi.
Al termine dell’unica giornata di voto prevista, definita dai leader dell’opposizione «un caos totale» e «illegittima», neanche la Ceni era in grado di dire quante persone fossero state illegalmente escluse dal voto. Circa il 30 per cento, secondo alcune stime. Per questo, il governo ha accordato un’ulteriore giornata di votazioni, alimentando proteste e sospetti di irregolarità.
La truffa elettorale del secolo
I brogli elettorali, purtroppo, non sono una novità in un paese che adotta il sistema dell’elezione a turno unico: chi prende più voti, vince tutto. Le ultime elezioni, nel 2019, si sono rivelate la “truffa elettorale del secolo“: il presidente dichiarato vincente, Felix Tshisekedi, candidato semisconosciuto ma colluso con l’autocrate Joseph Kabila, vinse con il 38,5% dei voti, davanti al più famoso e da tutti dato come favorito Martin Fayulu, che si fermò ufficialmente al 34,7%.
Ma secondo la Chiesa cattolica, l’istituzione più credibile e rispettata del paese, nonché l’organismo che cerca di evitare brogli dispiegando in tutti i seggi elettorali 40 mila osservatori, Fayulu aveva ottenuto il 62% dei voti e Tshisekedi appena il 16,88%. Quattro anni fa la Chiesa domandò alla Ceni di pubblicare tutti i risultati, seggio per seggio, ma la Ceni si rifiutò.
Il mondo ha bisogno del Congo
Fayulu, ingoiato il rospo e rinunciato a scatenare una guerra civile, si è ricandidato quest’anno contro Tshisekedi. Altri due candidati che possono sperare nella vittoria sono Moise Katumbi, ex governatore della regione mineraria Katanga, e Denis Mukwege, premio Nobel per la pace 2018.
I risultati preliminari sono previsti per il 31 dicembre, ma potrebbero arrivare anche prima. Il presidente eletto dovrebbe insediarsi il 20 gennaio ma non ci sono certezze al momento. L’unica speranza, come sottolineato dal cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa, «è che tutti i congolesi si esprimano attraverso il voto e che si comportino in maniera pacifica e civile». Anche dopo le elezioni.
La speranza della Chiesa è condivisa, anche se spesso non favorita, anche dai governi di tutto il mondo. Il Congo infatti detiene il 70% del coltan mondiale, fondamentale per la produzione di smartphone e computer, e l’80% delle riserve di cobalto, fondamentale per lo sviluppo delle energie rinnovabili e delle tecnologie aerospaziali.
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