
Se la Tunisia non è finita come la Libia è perché «il popolo si è immischiato in politica»

Pubblichiamo l’articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Se la Tunisia non è uscita con le ossa rotte dalla Primavera araba come Libia, Yemen, Siria ed Egitto, ma è riuscita a portare a termine almeno la transizione politica e democratica, è anche merito di Mohamed Fadhel Mahfoudh. L’ex presidente dell’Ordine nazionale degli avvocati della Tunisia ha favorito la transizione politica del suo paese dal 2013 e per questo ha ricevuto il premio Nobel per la pace 2015, condiviso con gli altri tre componenti del Quartetto per il dialogo nazionale. «È sbagliato parlare di Primavera araba al singolare, come se in tutti i paesi fosse avvenuta la stessa cosa, perché il nostro caso è unico in un contesto geopolitico tumultuoso», dichiara a Tempi Mahfoudh, che ha partecipato all’ultima edizione del Meeting di Rimini.
Durante gli anni difficili della transizione, nei quali il governo veniva criticato per l’eccessivo lassismo nei confronti degli estremisti islamici e si moltiplicavano gli omicidi politici, il Quartetto è riuscito a far firmare a tutti i partiti una road map per la democratizzazione del paese, che ha portato alla ratifica di una nuova Costituzione, «che garantisce tutte le libertà civili», e a libere elezioni presidenziali e legislative. «Se siamo riusciti dove altri hanno fallito – continua il premio Nobel – è perché il nostro popolo era pronto ed educato. Non è possibile paragonare la Tunisia alla Libia, dove ci sono ancora le tribù».
Il Quartetto è inoltre «la dimostrazione che la società civile può influenzare e deve influenzare la politica. Il dialogo è fondamentale. Noi dell’Ordine degli avvocati, insieme al sindacato dei lavoratori, a quello dei datori di lavoro e alla Lega per la difesa dei diritti dell’uomo, ci siamo immischiati in politica, nel senso nobile del termine, abbiamo dato voce alla società. Il popolo ha dato prova di forza, maturità e consapevolezza. Questo è decisivo per ottenere libertà e democrazia».
La minaccia della disoccupazione
Mahfoudh sa che se la transizione politica è riuscita, il paese non è ancora al sicuro. La rivoluzione che ha portato alla cacciata del dittatore Ben Ali nel 2011 rischia di essere vanificata da un’economia in forte difficoltà, dalla disoccupazione giovanile altissima, dalle proteste per il lavoro e dalla partenza di oltre 5.500 tunisini alla volta della Siria per unirsi allo Stato islamico. L’estremismo islamico propagandato in patria dai salafiti e i recenti attentati dell’Isis per minare il turismo (Museo del Bardo e Sousse) sono ulteriori elementi di preoccupazione.
«Abbiamo vinto la sfida politica, ora però dobbiamo vincere quella economica», prosegue. «Se gli indicatori economici non migliorano e non riusciamo ad emergere con l’aiuto dei nostri partner internazionali, c’è il rischio che la disoccupazione spinga i giovani tra le braccia del fanatismo». Ecco perché «bisogna combattere il terrorismo e quei criminali che colpiscono in tutto il mondo. Da questo punto di vista, Europa e Stati Uniti devono fare molto di più per sradicare il fenomeno».
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!