
Tentar (un giudizio) non nuoce
L’immigrazione e la sfida dell’integrazione

Spesso la politica si accontenta di offrire una rappresentazione distante dalla realtà, per garantirsi il plauso della pancia elettorale ed il consenso popolare. Uno dei temi su cui ciò accade con più frequenza è l’immigrazione.
Prendiamo i numeri del fenomeno: le persone sbarcate nel nostro Paese lo scorso anno sono stati 105 mila. Un terzo proviene da Egitto e Tunisia, ossia da Paesi che non vivono “direttamente” una guerra.
Centomila è un numero grande o piccolo? Oggi gli stranieri residenti regolarmente e stanzialmente in Italia, secondo gli ultimi dati Istat, sono poco più di 5 milioni, l’8,5 per cento dell’intera popolazione.
Se usciamo per le strade di Milano ci rendiamo conto che una su otto persone fra quelle che incontriamo è straniera. Se aggiungiamo gli irregolari, stimati in poco meno di 500 mila, arriviamo vicini al 10 per cento della popolazione italiana. Tutto ciò sta costruendo una dinamica della realtà che è ben diversa da quella che abbiamo in testa, dalla rappresentazione massmediatica.
Emergenza sbarchi
Perché? Perché, da un lato, si mostra ogni giorno l’emergenza sbarchi. A Lampedusa certamente si vive una situazione drammatica. Ma il tema vero, la sfida quotidiana per tutti noi, è un altro: riguarda l’integrazione, non l’emergenza sbarchi, peraltro cresciuta negli ultimi mesi. È l’integrazione che interroga quotidianamente la nostra vita. In una situazione di difficoltà economica e sociale i nostri cittadini sapranno accogliere il diverso o lo rifiuteranno a priori? Nelle scuole, nei quartieri popolari, per la strada sappiamo accogliere i migranti o li guardiamo con sospetto se non con ostilità?
Andiamo ancora più a fondo: se vogliamo comprendere le migrazioni dobbiamo capire le cause strutturali e renderci conto delle dinamiche inesorabili che avranno, a cominciare dalla demografia.
Cosa succederà
Spesso noi guardiamo al Mediterraneo come se fosse ancora il Mare Nostrum dei tempi dei romani, ma oggi esso è una faglia in cui si confrontano civiltà, culture, religioni, stili di vita e condizioni economiche differenti.
Dobbiamo decidere come ricomporre questa faglia, diversamente destinata a rompersi ancora di più. Del resto, questo discorso vale per il Mediterraneo ma anche per altri luoghi “sensibili”. L’Ucraina, come i Balcani, risiedono su un’altra faglia, quella tra Europa occidentale e mondo slavo, che vive di dinamiche completamente diverse. Abbiamo indagato a dovere le ragioni complesse che hanno scatenato la guerra? Affrontare queste drammaticità è il compito della politica.
L’immigrazione, come ogni fenomeno di ampiezza mondiale, non può che essere analizzato attraverso un assunto: la complessità. La verità è che noi siamo davanti ad un bivio: o lasciamo che la semplificazione diventi il denominatore comune e vincente, capace certo di suscitare emozioni, ma non di risolvere problemi, oppure riprendiamo in mano le redini di un pensiero capace di influire su più fattori in maniera determinante, ma sicuramente meno attraente per il mero “gioco” elettorale.
Ora noi ci poniamo il problema dell’immigrazione perché sbarcheranno, da qui a fine anno, forse 150 mila migranti. Ma cosa accadrà negli anni a venire? L’Ue conta attualmente 447 milioni di abitanti. Secondo le proiezioni di Eurostat, questa cifra raggiungerà i 449 milioni intorno al 2025, per poi diminuire a partire dal 2030, attestandosi a 424 milioni nel 2070 (dati raccolti dal sito Ufficiale dell’Unione Europea).
Integrare il diverso
In Africa oggi vivono 1.200 milioni di abitanti che nel 2050 saranno 2.500, la gran parte giovani tra i 20 e i 40 anni.
Questo è un dato preoccupante che deve farci riflettere anche perché, a causa del cambiamento climatico (che è un fatto scientifico difficilmente confutabile), nel 2050 nelle zone subsahariane le temperature arriveranno a toccare i 70 gradi. È possibile vivere in un territorio simile? È evidente che le persone che oggi abitano in quelle terre dovranno spostarsi. E tra venticinque anni quanti saranno i migranti che bussano alle nostre porte? Certamente molti di più di quelli che possiamo censire oggi.
Dove potranno mai andare? Quando saranno un miliardo le persone che si sposteranno per sopravvivere, non alle guerre, ma a causa di un ambiente ostile all’essere vivente, non potremo archiviare l’argomento come se si trattasse di un’emergenza militare da risolvere con gli strumenti di polizia. Già da oggi abbiamo il compito di costruire le basi per questo futuro.
Rispetto a questo dobbiamo recuperare una delle qualità specifiche della nostra storia: la capacità di integrare il diverso.
Accoglienza senza integrazione
Milano (Mediolanum: luogo che sta nel mezzo) è sempre stato il luogo capace di edificare modelli di integrazione, del resto il nostro patrono è sant’Ambrogio, che era un tedesco di Treviri, e il pensatore di riferimento sant’Agostino di etnia berbera ma di cultura fondamentalmente ellenistico-romana (nacque il 13 novembre 354 a Tagaste, attualmente Souk Ahras, in Algeria). Stranieri, che sono diventati i padri del nostro pensiero. Ora, questa capacità non solo di accogliere ma di integrare, far diventare parte di noi, è uno dei genius loci delle nostre terre.
Senza cadere nella retorica bisogna sottolineare che l’integrazione sia cosa diversa e ben più complessa dall’accoglienza, sebbene questi due termini richiamino due facce della stessa medaglia. Dunque, oggi il nostro compito non è solo quello di accogliere in maniera umanitaria ma è quello di integrare. L’accoglienza senza integrazione diventa disumana, creando tutti quei problemi relativi alla sicurezza e all’inciviltà, che ben conosciamo.
Il Mediterraneo “lago di Tiberiade”
Per fare questo è indispensabile una visione che abbia un disegno sul futuro. Un contributo possiamo recuperarlo da Giorgio La Pira, che in una lettera a Papa Pio XII nel 1958 definiva il Mediterraneo come un nuovo “lago di Tiberiade” sovrapponendo l’immagine biblica dell’origine dei popoli con quella del pluralismo mediterraneo a lui contemporaneo.
Una vocazione universale quella del Mediterraneo, culla delle civiltà e dei monoteismi mondiali, nati nello “spazio di Abramo” e destinati ad “annunciare la benedizione e la pace nella casa e presso la famiglia di Abramo, e in tutte le case e presso tutte le famiglie degli uomini!”.
Quale compito ci spetta, dunque, fuori dalla bagarre della politica urlata? Quello di fornire una visione della civiltà, capace di comprendere e assimilare quella complessità di cui siamo intrisi, diversamente saremo destinati a divenire assolutamente marginali. Questo è il compito storico che oggi ha il Mediterraneo, l’Europa, l’Italia, la Lombardia.
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