
L’imbroglio delle leggi regionali sul fine vita

«La delibera di Bonaccini è una scorciatoia», dice a Tempi Valentina Castaldini, consigliera regionale d’opposizione (Fi) in Emilia-Romagna, dopo che il presidente ha emanato una delibera per permettere il suicidio assistito nella sua Regione. Come vi abbiamo già raccontato, quello di Bonaccini è stato un vero e proprio colpo di mano per rendere inutile la votazione della proposta di legge radicale sul fine vita.
«Sapeva che avrebbe perso», spiega Castaldini, «e che, come già accaduto in Veneto, la proposta sarebbe stata respinta». Secondo i conti di Castaldini, in aula sarebbe finita in questo modo: 23 sì e 27 no, con il voto contrario di cinque esponenti del Pd, due di Iv e altri. Questo spiega perché il governatore abbia forzato la mano e fatto approvare una delibera che dà indicazioni operative alle Asl «per la gestione delle richieste di suicidio medicalmente assistito».
Bonaccini non arretra di un passo sul fine vita
Il tema è assai dibattuto. Dopo l’iniziativa radicale, le Regioni sono chiamate a pronunciarsi. Lo ha già fatto il Veneto di Luca Zaia, lo faranno a seguire Liguria, Lombardia, Piemonte, Abruzzo, Friuli Venezia-Giulia, Sardegna, Basilicata, Lazio, Marche, Calabria e Puglia (che pare intenzionata a seguire l’esempio dell’Emilia-Romagna). Su tutte, pesa il parere dell’Avvocatura generale dello Stato che, su esplicita richiesta del consiglio regionale del Veneto, ha già chiarito che non spetti alle Regioni emanare leggi su questo tema.
Ma Bonaccini ha fatto di più e «non arretra di un passo», come ha scritto ieri Repubblica che lo ha intervistato. Il governatore si è giustificato nel solito modo, dando a intendere di voler rispettare la sentenza della Corte Costituzionale, lamentando la lentezza del parlamento nell’approvare una legge, insistendo sulla necessità di dare una risposta ai malati. Il suo collega di partito e governatore della Toscana, Eugenio Giani, in un’intervista alla Stampa ha già detto che non seguirà il suo esempio.
Comitato etico illegittimo
Castaldini chiederà un parere all’Avvocatura generale dello Stato e ha annunciato ricorso al Tar. «Quella di Bonaccini è una scorciatoia per due motivi», spiega a Tempi. «Innanzitutto perché, in questo modo, ha evitato che il consiglio potesse esprimersi su una materia così importante e delicata». E questo è un vulnus democratico importante, aggravato dal fatto – dato politico – che il voto avrebbe evidenziato le spaccature in seno alla sua maggioranza. «In secondo luogo, perché, con una delibera pasticciata e scritta in fretta, ha istituito un comitato etico che è stato scelto senza bando e senza spiegare i criteri con i quali sono stati selezionati i suoi componenti».
Quella del presidente emiliano è una forzatura istituzionale e giuridica. Sebbene Bonaccini continui a richiamarsi alle indicazioni della Consulta, poi le tradisce. La sentenza 242/2017 dice che deve essere un organo collegiale terzo, «munito delle adeguate competenze», a chiarire se esistono i requisiti che escludono il reato di aiuto al suicidio. Tali organi, i comitati etici territoriali (Cet), devono essere composti sulla base di una disciplina nazionale di riferimento (la legge Lorenzin del 2018) e non possono essere “inventati” da ogni Regione.
Cosa dice davvero il Cnb
C’è, se possibile, un aspetto ancor più grave, che ieri Castaldini ha fatto notare in aula all’assessore alla Sanità Raffaele Donini. Nella delibera dell’Emilia-Romagna si fa riferimento a una decisione del Comitato nazionale di Bioetica (Cnb) per giustificare l’istituzione del comitato etico “bonacciniano”. L’aspetto incredibile è che il Cnb sostiene esattamente il contrario di quel che vorrebbe far credere la delibera dell’Emilia-Romagna.
Strabuzzando gli occhi in aula e augurandosi che si trattasse «di errore e non di dolo», lo ha fatto notare anche Castaldini a Donini. Il Cnb esclude che ogni Regione possa costruirsi Cet a propria immagine e somiglianza, così come ha fatto l’Emilia-Romagna. La delibera, infatti, non cita la parte del documento approvato dalla maggioranza, ma la postilla, cioè il parere dissenziente di sette componenti della minoranza interna al Cnb. «È come se la mia dichiarazione contraria all’approvazione del bilancio – ha esemplificato Castaldini – avesse più peso della decisione presa dalla maggioranza. Ma come si fa?». Il fatto grottesco è che, rispondendo a Castaldini, Donini è tornato a citare la postilla, confermando così l’accusa della consigliera di opposizione.
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