
Imane Fadil. Repubblica torna agli anni d’oro del guardonismo

Da sabato sui giornali impazza la storia di Imane Fadil, deceduta l’1 marzo all’Humanitas. Il modo pruriginoso e scandalistico in cui la stampa ne parla, Repubblica e Fatto Quotidiano in testa a tutti, dimostra che il rispetto delle donne tanto decantato a proclami non è certo di casa nelle redazioni di questi quotidiani, pronti a tutto pur di aumentare le vendite rispolverando il bunga bunga e il più becero anti-berlusconismo con l’aiuto dei soliti pm.
«SVELÒ IL BUNGA BUNGA, MUORE AVVELENATA»
La tesi è chiara fin dai titoli: Svelò il bunga bunga, muore avvelenata, scriveva già sabato Repubblica in prima pagina. E il Fatto avanzava senza mezzi termini il movente politico-giudiziario del presunto assassinio: E adesso la difesa non può più fare domande sulle deposizioni: «Fadil era una testimone chiave dei processi legati al caso Ruby. Tra due mesi è prevista l’apertura del processo Ruby Ter che vede, tra gli altri, imputato Silvio Berlusconi. Con la scomparsa della testimone, esclusa come parte civile in questo procedimento che vede al centro le accuse di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza, né i magistrati né la difesa avranno modo di fare domande sulle sue passate deposizioni».
I giornali come il Corriere ricordano Fadil come una delle ragazze che non ballarono nei dopocena delle feste di Arcore, ma che «si era costituita contro Berlusconi e gli altri imputati perché si riteneva danneggiata dal clamore mediatico negativo». Giuseppe Guastella nota che «se qualcuno si azzardava a chiamarla Olgettina, Imane Fadil diventava una furia: “Io non sono come quelle, non c’entro niente con il bunga bunga”». Eppure tutti i quotidiani non fanno che affibbiarle l’epiteto in ogni articolo di giornale.
Fadil, come riportano le cronache, aveva molti problemi, attraversava un periodo difficile dal punto di vista economico, «s’era convinta di discendere da Gesù e, in qualche modo, lo confidava con grande prudenza, di reincarnarlo. Allo stesso modo sosteneva che Silvio Berlusconi (…) fosse “un pericoloso satanista, un servo di Belzebù”».
I DUBBI DEGLI ESPERTI SULL’AVVELENAMENTO
Tutti i giornali hanno scritto, senza preoccuparsi di aspettare l’autopsia, che Fadil è stata «avvelenata» e uccisa con sostanze radioattive. Eppure Carlo Lodovico Galli, presidente della Società italiana di tossicologia e professore all’università di Milano, ha dichiarato oggi a Repubblica che le sostanze rilevate dalle analisi del sangue e delle urine (cromo, molibdeno, cadmio e antimonio)
«sono elementi della crosta terrestre. Si trovano ovunque, nell’aria, nei cibi, nell’acqua, sgretolati nel terreno. Con il tempo possono accumularsi nell’organismo ma è sempre la dose a fare il veleno. E con questi elementi servono dosi molto, ma molto alte. Non esiste la possibilità che le dosi di Imane Fadil siano letali, le concentrazioni sono troppo basse e rientrano nella media della popolazione. Gli operai di determinate fonderie hanno livelli decine di volte superiori, e senza malattie».
Roberto Moccaldi, direttore del Servizio di prevenzione e protezione del Cnr e uno dei più grandi esperti italiani di medicina nucleare, ha invece dichiarato al Giornale: «Io mi occupo da sempre di radioattività. Della vicenda di questa povera ragazza so quello che ho letto sui giornali e posso dire che non c’è un solo indizio che mi faccia pensare che sia stata uccisa dalle radiazioni».
BERLUSCONI COME MUSSOLINI
Nonostante questo Repubblica continua a parlare di Fadil come della «donna che sapeva troppo» e Marco Travaglio, in un editoriale che si potrebbe definire in modo eufemistico azzardato, scrive oggi che proprio come Benito Mussolini non ha ordinato l’assassinio di Matteotti, compiuto da sodali zelanti, e Giulio Andreotti non ha ordinato quello di Mino Pecorelli, così «sicuramente Silvio Berlusconi non ha ordinato il probabile avvelenamento di Imane Fadil». Perché «i testimoni B. di solito li compra, non li ammazza. E tutto poteva augurarsi, fuorché la morte di una teste-chiave del processo Ruby-ter (dov’è imputato, tanto per cambiare, per corruzione di testimoni) e il ritorno del bunga bunga sulle prime pagine dei giornali».
Quindi, ricapitolando: Imane Fadil, che a detta di Repubblica aveva bisogno di uno psicologo, muore in circostanze misteriose; senza aspettare di verificare come stanno i fatti, i giornali parlano di assassinio per avvelenamento, salvo poi pubblicare opinioni di esperti che smentiscono la morte da avvelenamento, e fanno (neanche tanto) velate allusioni a Berlusconi come mandante di un omicidio che però né politicamente né giudiziariamente gli conviene.
REPUBBLICA TORNA AGLI ANNI D’ORO
Nello stesso tempo Repubblica – tornata con il neodirettore Carlo Verdelli al guardonismo degli anni d’oro, alle intercettazioni del bunga bunga e all’anti-berlusconismo delle dieci domande – si esibisce attraverso la penna di Francesco Merlo in un dolente commento sulla «Olgettina d’Italia» per la quale «nessuno ha avuto pietà»:
«La morta italo maroccchina che non fa piangere nessuno, ci racconta moltissime cose sulla pessima condizione della donna italiana. Mentre infatti la Nuova Zelanda in lutto offriva al mondo il commosso, indimenticabile, bellissimo viso della sua premier Jacinda Ardern, non mortificato ma esaltato dal velo islamico com’è a Napoli il Cristo velato, l’Italia ridacchiava per l’orribile fine di questa sua Olgettina, di cui nessuno di noi ricorda il viso perché “Olgettina” non è una persona ma una sigla, un toponimo, l’impiegata di concetto del famigerato bunga bunga che nell’intero mondo ancora ci rappresenta come una bandiera forse più di Sofia Loren e di Monica Bellucci, e proprio perché — diciamo la verità — nella nostra memoria le Olgettine sono tutte uguali: chi ne ha vista una le ha viste — e subito dimenticate — tutte. Come se, una volta diventate olgettine, ciascuna delle lupe di Arcore non si portasse più negli occhi la propria storia personale e quella della propria famiglia, ma solo quella di vent’anni di politica del proprio Paese».
CHI È CHE «TREAT WOMEN LIKE PROSCIUTTO»?
Peccato che sia proprio Repubblica ad aver trasformato “l’Olgettina” nella «celebre malafemmina italiana ridotta a ragazza squillo della politica». Solo il Fatto ha saputo eguagliare Repubblica nell’operazione di sputtanamento e umiliazione delle «ragazze di Arcore». Anche oggi ne ha dato prova, titolando così in prima pagina l’intervista a Karima El Mahroug: Ruby: “Io e Imane volevamo una vita diversa”.
Peccato che all’interno El Mahroug, dopo aver dedicato una fugace battuta alla morte di Fadil («Povera Imane, provo pena per lei ma non ricordo di averla conosciuta personalmente»), dichiari: «Voglio lasciarmi tutto alle spalle, vivere con il mio compagno e mia figlia. Voi giornalisti mi cercate soltanto per parlare di Berlusconi. Non vi interessa niente che io vi racconti la mia nuova vita, le attività che sto cercando di mettere in piedi. Io sono diventata una persona diversa, ho il diritto di non essere cercata solo per parlare del passato».
Come scriveva Newsweek in un famoso articolo del 2011 sulla condizione delle donne in Italia per colpa di Berlusconi: «We are treated like prosciutto». Certi giornali non hanno mai smesso di trattarle così.
Foto Ansa
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