
Ilva Taranto, per l’arcivescovo Santoro «non bastano Aia e decreti per migliorare la situazione»
«Ad oggi la nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia) e i decreti non sono serviti a migliorare la situazione ambientale. Lo testimoniano i ritardi nell’applicazione delle prescrizioni e i fatti di questi ultimi tempi che riguardano ormai anche altre realtà ambientali». Sono parole dure ed esplicite quelle che ha usato domenica 1 settembre l’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro. Nel messaggio pubblico inviato alla diocesi in occasione dell’ottava Giornata per la custodia del creato promossa dalla Cei, l’arcivescovo ha puntato il dito sui problemi della città.
GUERRA TRA VITTIME. Santoro ha iniziato ricordando gli avvenimenti di un anno fa, quando «il volto di Taranto era duramente provato: la dovuta azione della Procura, le strade occupate dagli operai, le associazioni schierate a difesa dell’ambiente. A parer mio il fattore più drammatico era l’incapacità e la diffidenza al dialogo in qualsiasi livello, da quello istituzionale a quello della società civile. Sin dalla prima ora ho scongiurato che i dibattiti e le manifestazioni non divenissero una guerra fra vittime. Perché tutta la città è vittima. La Chiesa ha voluto affermare che la contrapposizione tra salute e lavoro è frutto di una dinamica perversa, figlia di coloro che non hanno pesato al futuro di Taranto, ma hanno seguito la strada del profitto immediato». La responsabilità, prosegue l’arcivescovo, non è solo dell’Ilva: «Purtroppo abbiamo assistito allo smarrimento delle classi dirigenti, nazionale e locale, la cui conseguenza è stata una discutibile gestione dell’emergenza e sembra utopico concepire una nuova politica industriale».
RASSEGNAZIONE E SPERANZA. La prima conseguenza descritta dall’arcivescovo è la disperazione che ha iniziato a rafforzarsi per tutta la città, e in particolare nei quartieri più colpiti dall’inquinamento. Scrive Santoro che «anche nelle parrocchie, soprattutto al quartiere Tamburi, è facile raccogliere commenti del tipo “abbiamo perso la speranza di vivere”. “Sappiamo che il tumore è dietro l’angolo”». Di fronte a questo «fatalismo inesorabile e tutto tarantino», Santoro ha richiamato all’invito di Papa Francesco, «non lasciatevi rubare la speranza», e ha indicato chiaramente i passi concreti perché questo passaggio di mentalità possa avvenire proprio in questo territorio ferito dall’inquinamento e dalla paura della disoccupazione.
«IL CONTO DELLA GRATITUDINE». Il primo passo che Santoro ha indicato nel suo messaggio è in una chiarezza sui due problemi annodati sul caso Ilva. Richiamando l’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, l’arcivescovo ha ricordato che un punto fermo dev’essere «il rispetto degli equilibri intrinseci del creato stesso. Se tale visione viene meno, l’uomo finisce o per considerare la natura un tabù intoccabile, o al contrario per abusarne».
DOTTRINA SOCIALE. Il secondo punto fermo, nelle parole dell’arcivescovo, discende direttamente dalla Dottrina sociale a cui la Chiesa di Taranto si è ispirata nella sua azione, e dove «si riconosce la positività del mercato e dell’impresa, ma che indica nello stesso tempo la necessità che questi siano orientati verso il bene comune. Essa riconosce inoltre la legittimità degli sforzi dei lavoratori per conseguire il pieno rispetto della loro dignità e spazi maggiori di partecipazione alla vita dell’azienda. Il nocciolo della questione è continuare a bandire la logica delle contrapposizioni: salute-lavoro, operai-ambientalisti».
«BASTA RITARDI». L’arcivescovo conclude: «La nostra responsabilità ci chiede di verificare il corso dell’attuazione della legge 89 approvata dalla Camera e dal Senato e sottoscritta dal Presidente della Repubblica lo scorso 3 agosto (nuove disposizioni a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro, ndr), pur nella chiara consapevolezza dei suoi limiti. Ancora una volta invito ad un controllo rigoroso sull’applicazione delle prescrizioni della nuova Aia, non procrastinando ulteriormente gli interventi di ammodernamento degli impianti, la copertura dei parchi minerali e la bonifica dei terreni circostanti. La difesa della vita ci chiede di lottare contro ogni forma di rassegnazione mantenendo vigile la coscienza di tutti i cittadini. È auspicabile una mobilitazione costante per offrire alla propria terra un presente meno doloroso e un futuro più sereno. Anche l’intricata questione delle discariche dello stabilimento industriale, prima che rispondere a qualsiasi, seppur rispettabile, logica di politica industriale o ambientale, deve ispirarsi oggi più che mai al futuro di Taranto».
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