Ilva Taranto, arcivescovo Santoro a tempi.it: «Bene il decreto. Ora attendiamo segni concreti»

Di Matteo Rigamonti
05 Giugno 2013
L'arcivescovo della città saluta con prudente soddisfazione la norma che può salvare l'Ilva e ammonisce: «Ora l'azienda si impegni nel risanamento e a dare continuità al lavoro»

Commissariata l’Ilva. Ieri l’annuncio del secondo decreto “salva Ilva”, quello che prevede di affidare la gestione dello stabilimento di Taranto a Enrico Bondi, già amministratore delegato per una cinquantina di giorni e a un comitato composto dai due subcommissari nominati dai ministri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente e da cinque esperti. In tre anni dovranno farsi capo di applicare la nuova Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale, per raggiungere l’obiettivo del risanamento e della messa in sicurezza degli impianti. Al termine del percorso, l’Ilva potrà tornare in mano alla proprietà naturale: il gruppo Riva.

La strada verso il risanamento, dunque, è ancora tutta da percorrere; intanto, però, il provvedimento è salutato positivamente dall’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, che a tempi.it dichiara: «Il decreto del governo, che deve tener conto del risanamento ambientale e della continuità produttiva deve darci un appiglio». In che senso? «Personalmente ho sempre offerto il mio sostegno alla gente e alimentato la speranza del popolo di Taranto, sostenendo la difesa della salute, dell’ambiente e del lavoro, ma ora attendiamo tutti quanti segni concreti, un appiglio tecnico, pratico, da parte dei responsabili della politica nazionale».

Segni che «impegnino l’azienda in una effettiva e rigorosa opera di risanamento ambientale, permettendo, al tempo stesso la continuità del lavoro». E il primo di questi segni, ieri, è arrivato. L’Ilva potrà continuare a produrre. Il rischio della chiusura, per ora, è scongiurato. Adesso bisogna attendere che Bondi approvi, con l’ausilio dei suoi esperti, il piano d’attacco per cominciare l’opera di risanamento.

@rigaz1

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    1 commento

    1. giuliano

      peccato che i tumori accertati nella città di Taranto sono di meno che nella città di Bari o della città di Torino o Bologna. Peccato che non si dica che la documentazione “scientifica” che la magistratura di Taranto usa per minacciare la chiusura degli impianti, sia senza alcun valore di prova e provenga da fonti ambientaliste in collaborazione con la FIOM che hanno iniziato la denuncia. 20000 lavoratori perderanno il posto di lavoro ?? sanno con chi prendersela, e se continuano ad avere in tasca la tessera CGIL si meritano la perdita del lavoro, anche se ci rimette tutto il paese.

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