Ilva, Talò (Uilm): «La magistratura faccia un passo indietro»

Di Chiara Rizzo
20 Agosto 2012
Intervista a Antonio Talò, segretario Uilm: «Ci sono le condizioni per coniugare la bonifica alla salvaguardia del lavoro di 15 mila persone. L'Ilva di Ferrante appare diversa dal passato»

Mentre vengono depositate le motivazioni del tribunale del riesame di Taranto che ha confermato il sequestro degli impianti a caldo dell’Ilva, il presidente dell’azienda Bruno Ferrante ha fatto sapere che «Gli impianti devono essere attivi. Il riesame ha espresso una posizione di buon senso, che indica una strada che salva l’ambiente, la salute e tanti posti di lavoro. Si può risanare solo tenendo gli impianti attivi». In gioco ci sono 15 mila posti di lavoro, tra dipendenti diretti e indotto: intere famiglie che rischiano, se si spengono gli altiforni in un momento di crisi economica, di finire sul lastrico. E non c’è solo la Puglia a restare con il fiato sospeso: perché l’Ilva produce il 40 per cento dell’acciaio in Italia. L’effetto domino di una chiusura è intuibile. Quest’angoscia è quella che descrive a tempi.it anche Antonio Talò, segretario del maggiore sindacato all’interno delle acciaierie: la Uilm che conta all’Ilva 3.400 iscritti (le altre sigle insieme ne raccolgono 2.300): «Speriamo che la magistratura possa fare un passo indietro, dopo i progetti messi in campo. Lavoro all’Ilva da 40 anni, e non ho mai visto lo Stato intervenire come ora. Forse è finalmente possibile avere lavoro e ambientalizzazione insieme. Ma il provvedimento del riesame resta come una spada di Damocle».

Qual è la situazione che si vive a Taranto oggi?

C’è una grande preoccupazione, e si vive con ansia ogni giorno. Le riunioni e gli impegni presi a livello istituzionali, non in ultimo la riunione con i ministri di Ambiente e Sviluppo, Clini e Passera, a Taranto, hanno tuttavia lasciato un certo ottimismo e ridato la certezza che il posto di lavoro non si perderà e che verranno eseguite le bonifiche. L’impianto è ancora chiuso ma i forni sono ancora in marcia, e questa è una fortuna, perché – come più volte abbiamo detto – spegnerli significa chiudere definitivamente. Le proteste di noi lavoratori, in questi giorni, sono avvenute perché chiediamo che la magistratura possa fare un passo indietro, dopo i progetti messi in campo, per far sì che la disponibilità dimostrata dal presidente Ferrante si possa concretizzare nei fatti.

Un mese fa, il primo giorno di protesta dopo il decreto del gip, i lavoratori Ilva si domandavano “cosa daremo da mangiare ai nostri figli, l’aria pulita?». Un mese dopo cosa chiedono?

Il fronte dei lavoratori è compatto, chiede di continuare a lavorare. Ma anche noi certamente abbiamo il desiderio di farlo in condizioni migliori e più salubri. E certo che se si mette mano all’ambientalizzazione dopo 50 anni, come sembra stia avvenendo ora, siamo noi i primi a volerlo.

Si ha l’impressione dall’esterno che Taranto sia divisa tra il fronte dei lavoratori e quello delle associazioni che chiedono il risanamento ambientale. È così?

No, in realtà non vedo una grande contrapposizione. C’è solo un certo un fronte “anti-Ilva”, composto però soprattutto da un associazionismo un po’ casareccio.

A chi si riferiesce esattamente?

Legambiente, che pure è critica da sempre a Taranto, proprio sull’Ilva ha una posizione costruttiva: ma il resto dell’associazionismo è fatto da una galassia di sigle locali che nascono e muoiono in poco tempo, composto da “professionisti” e non da cittadini. Questo è quello che definisco “casereccio”. In questi giorni per strada, durante le proteste, noi lavoratori al contrario abbiamo avuto tanta solidarietà e sostegno dai cittadini di Taranto. C’è solo una minoranza che non vede di buon occhio lo stabilimento. Ma sa cosa credo? Che si dovrebbe raccogliere la loro sfida e migliorare le cose che non sono state fatte sinora.

Tra le associazioni che sono radicalmente contro l’Ilva ci sono quelle dei parenti di malati o di vittime dell’amianto. Voi lavoratori le avete incontrate e ascoltato le loro ragioni?

Non ci siamo incontrati, purtroppo, ma preciso che queste associazioni non le definisco assolutamente “caserecce”. Si tratta di persone che vivono o hanno vissuto drammi. Non ci hanno voluti incontrare: eppure anche tra noi lavoratori dell’Ilva ci sono stati malati. Purtroppo sono i malati dell’inquinamento di ieri, che era molto più pesante di oggi e che nessuno ha mai messo sotto accusa. Sono state vittime dell’amianto, e della vecchia situazione che c’era nell’azienda: ma legare quei casi alla situazione attuale, ben diversa, mi sembra un forzare la mano. Oggi piuttosto dobbiamo evitare i malati di domani, è questa la grande colpa che non possiamo più permetterci di portare sulle nostre spalle: e questo anche noi lavoratori lo chiediamo.

Oggi sono uscite le motivazioni del Riesame. Vi si legge che «il disastro» ambientale dell’Ilva «è stato determinato nel corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante e reiterata attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà per deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti» e che «dalle varie parti dello stabilimento vengono generate emissioni diffuse e fuggitive non adeguatamente quantificate, in modo sostanzialmente incontrollato e in violazione dei precisi obblighi assunti dall’Ilva». Cosa accadrà adesso?

Sto leggendo le motivazioni con i nostri legali e domani ci sarà un incontro con l’azienda per capire cosa ne pensa e se ci saranno cambiamenti nelle decisioni prese con le istituzioni: per il momento posso dire che resta l’incertezza sull’interpretazione del provvedimento del Gip rispetto al funzionamento delle acciaierie. È come se venisse lasciata una spada di Damocle sull’Ilva: per il momento può continuare a marciare, ma non si sa sino a quando i magistrati lo consentiranno.

Tuttavia in questi giorni sono emersi documenti che testimoniano come i vertici dell’Ilva abbiano appunto commesso consapevolmente irregolarità che avrebbero causato il disastro ipotizzato sinora dai giudici. Voi sindacati, che dentro l’azienda ci vivete, cosa ne dite?

Abbiamo sempre lavorato guardando le carte e quell’Autorizzazione integrata ambientale che i giudici dicono non essere stata rispettata. Ma noi sindacati certo non abbiamo avuto conto di ciò che avviene dietro le quinte. Se ci sono state in atto corruzioni o tentativi di mistificare la realtà è giusto perseguire i reati: ma, aggiungo, si faccia attenzione perché non devono pagare le conseguenze i lavoratori che sono ignari. Io lavoro all’Ilva da 40 anni: le assicuro che non avevo mai visto lo Stato intervenire come ora, e così anche la magistratura. Per questo mi fermo un momento a riflettere. Potremmo essere alla svolta decisiva. Questo non può significare il blocco ma che, allo stesso tempo, si prenda in considerazione il bene delle 15 mila famiglie dei lavoratori e si facciano le bonifiche correttamente.

Perché pensa che, dopo anni in cui nulla è stato fatto, adesso le cose possono cambiare?

Il presidente dell’Ilva Ferrante è una persona che sa cosa vuole e che cosa vorrebbe fare: io l’ho visto sincero nel rompere con l’atteggiamento dell’azienda avuto in passato. Certo, lo dico con tanta cautela, perché anche la sua disponibilità va misurata dai fatti. Ho visto però una persona aperta al dialogo anche con noi lavorarori. È vero che c’è stato lassismo finora nelle bonifiche, ma un segnale nuovo è che l’Ilva non usa più il “non dialogo” e l’arma dei ricorsi per contrapporsi. Un atteggiamento che, alla luce di quanto accade, ha creato solo danni. Invece quando il ministro Clini ha detto di rivedere l’Aia, a differenza della dirigenza di prima che avrebbe chiuso ogni trattativa, Ferrante si è dimostrato aperto. Per quello che ho visto nei 5 colloqui avuti con lui e i colleghi dei sindacati, credo sia una persona cui dare credito. Certo che, lui volente o nolente, le innovazioni e le tecnologie oggi permettono di fare le cose bene e di controllare che le bonifiche siano efficienti: e noi sindacati possiamo controllare che ciò accada. E lo faremo.

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