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Più che i “verdi” o i “blu”, alle elezioni presidenziali del 13 gennaio a Taiwan ha vinto lo status quo. Davanti alle continue minacce d’invasione da parte della Cina, gli abitanti dell’isola hanno chiaramente fatto sentire la propria voce: non vogliono diventare schiavi di Pechino, ma non intendono neanche dichiararsi formalmente indipendenti e suscitare così le ire del Partito comunista. Con un’affluenza del 72 per cento, i 19 milioni di taiwanesi aventi diritto al voto hanno scelto la stabilità: ha conquistato la presidenza con il 40,1 per cento dei voti il più anticinese tra i tre candidati, Lai Ching-te, l’uomo del Partito progressista democratico (Dpp), al potere dal 2016 per due mandati consecutivi con Tsai Ing-wen.
La vittoria di Lai è però un successo a metà: oltre ad aver lasciato per strada 2,5 milioni di voti rispetto a quattro anni fa, i “verdi” hanno perso terreno in Parlamento, dove hanno conquistato soltanto 51 seggi, sei in meno di quelli necessari a ottenere...
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