
Il vero movente dell’assassinio politico di Boris Johnson

La vulgata comune vuole che Boris Johnson sia caduto per un paio di scandaletti di troppo. Un danno reputazionale ingestibile e drammatico che avrebbe scatenato lo spirito censorio e puritano del Partito conservatore. Gli scandali – party in pandemia e palpeggiamenti omosessuali coperti – uccidono politicamente un leader soltanto quando il contesto generale lo ha già indebolito. E checché se ne dica, questo caso non fa eccezione.
Chi può pensare che l’uomo che inventato la campagna del Leave, preso il partito e sfilato la debole Theresa May da Downing Street, “chiuso” il Parlamento per diverse settimane, azzerato Nigel Farage, stravinto le elezioni e cambiato il Brexit deal potesse perdere la poltrona esclusivamente per un po’ di immoralità? Gli scandali sono la patina, la superficie, materia da antipolitica da tabloid. Le cose sono un po’ più complesse.
Tutte le spaccature fra i tories
Il Partito conservatore ha attraversato – sempre dai banchi del governo – una mutazione che pochi altri partiti al mondo avrebbero potuto fronteggiare: la divisone tra brexiteers e remainers prima, quella tra pro e anti-Johnson poi, a cui segue quella della pandemia tra “aperturisti” totali e “chiusuristi” moderati, infine la separazione tra liberisti thatcheriani e i fautori di nuove politiche keynesiane. Poi sulla riapertura post-pandemia si è innestata l’inflazione, nel Regno Unito ancora più alta che altrove.
Errori, indecisioni e ricatti
Boris Johnson aveva al suo arco la freccia della guerra in Ucraina e l’ha utilizzata il più possibile, sull’antiputinismo il partito è unito, ma non è bastato. L’insoddisfazione economica e sociale è il vero movente dell’assassinio politico del primo ministro, che non è stato immune da errori. Troppo indeciso nell’affrontare la crisi, troppo ondivago sul paradigma economico da seguire, prigioniero delle cospicue minoranze del partito. Per un pezzo ampio dei conservatori, troppo statalista e interventista; per un altro, troppo austero e moderato.
Così, a due anni dalle elezioni, con la Brexit ancora da mettere in pratica, un’economia in frenata ed un costo della vita alle stelle, il partito ha deciso di liberarsi dello scandaloso primo ministro.
Cosa resta di BoJo
Cosa resta di Boris? La storia, cioè l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e la dimostrazione che la volontà politica dell’autogoverno di una nazione può contare ancora più dell’economicismo, ad opera del più classico – famiglia “imperiale” nelle origini e nelle relazioni, Oxford, il giornalismo, la politica – e istrionico – menefreghismo condito da cultura classica, sregolatezza da gentlemen’s club, populismo paternalistico da razza padrona – dei suoi figli. Per tutto il resto, ai posteri l’ardua sentenza.
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