Il vecchio equivoco della Tobin Tax

Di Rodolfo Casadei
21 Giugno 2001
Il cosiddetto “blocco rosa”, presunta ala moderata dell’anti-G8, non ci sta ad essere qualificato come movimento confinato alla protesta sterile e alla testimonianza impotente

Il cosiddetto “blocco rosa”, presunta ala moderata dell’anti-G8, non ci sta ad essere qualificato come movimento confinato alla protesta sterile e alla testimonianza impotente. Sostiene di avere proposte fattibili per migliorare le condizioni dei poveri che la globalizzazione economica non riesce a includere nei processi di crescita. Una di queste consiste nell’introduzione di una tassa sulla transazioni valutarie a breve termine a livello planetario, detta anche “Tobin Tax” dal nome dell’economista che per primo la propose nel 1972, i cui proventi dovrebbero andare a vantaggio della spesa sociale per gli strati di popolazione più sfavoriti, nel Nord e nel Sud del mondo. Secondo Attac, l’associazione internazionale che milita per una tassazione delle transazioni finanziarie, un prelievo dello 0,1% sulle transazioni valutarie che ogni giorno vedono scambiare nel mondo 1.800 miliardi di dollari sarebbe sufficiente per raccogliere fra i 90 e i 100 miliardi, cifra corrispondente al doppio circa degli attuali aiuti allo sviluppo. Nello stesso tempo, la tassa servirebbe a combattere la speculazione finanziaria, quindi a stabilizzare i cambi, quindi a restituire un po’ di potere di controllo ai governi sui mercati finanziari, quindi a favorire l’economia reale sull’economia finanziaria. Peccato che nessuno di questi obiettivi sia in realtà conseguibile attraverso la “Tobin Tax”. Tanto per cominciare, il capitale che circola nelle transazioni è molto diverso dal capitale che si possiede stabilmente: un dollaro che cambia di mano mille volte nel corso di una giornata sarà contato come 1.000 dollari di transazioni finanziarie. Una tassa di un millesimo, allora, costituirebbe un’espropriazione totale della ricchezza introdotta nel sistema. L’effetto sarebbe quello di ridurre brutalmente la circolazione finanziaria e forse di interromperla completamente. L’economia reale ne risentirebbe tanto quanto quella finanziaria. Ma anche l’obiettivo di combattere la speculazione e stabilizzare i cambi è aleatorio. Supponiamo che io debba vendere i dollari che ho guadagnato con le esportazioni per pagare in euro i miei dipendenti. Se gli operatori esitano ad acquistarmeli perché la tassa li scoraggia dall’effettuare un acquisto seguito da una vendita (hanno bisogno anche loro di vendere subito i dollari), sarò costretto ad abbassare il prezzo a cui cedo i miei dollari, per accelerare una vendita di cui ho assolutamente bisogno. La fluttuazione dei cambi, in questo caso, risulterà accentuata anziché ridotta, e gli speculatori faranno festa. Questi difetti della “Tobin Tax” sono noti da anni. Perché allora gli antiG8 e alcuni governi la propongono, anziché limitarsi a chiedere maggiori stanziamenti per gli aiuti al Terzo mondo? Per cieco odio teologico nei confronti dell’economia finanziaria i primi, per mettere le mani su nuove imposte i secondi. Come scrisse Luca Paolazzi su Il Sole 24 Ore: togli Tobin, e ti resta la tax.

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