
Il Vaticano rinnova l’accordo con la Cina (ma non è soddisfatto)

L’accordo tra Cina e Vaticano sulla nomina dei vescovi è stato rinnovato provvisoriamente per altri due anni, dopo la prima proroga dell’ottobre 2020. Fare un bilancio dell’intesa è molto difficile, se non impossibile, soprattutto perché il suo testo è segreto. Leggendo però tra le righe di alcune dichiarazioni, come quelle del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin a Vatican News, è possibile intuire che, per quanto in parte soddisfacente, l’accordo non stia dando i risultati sperati dalla Santa Sede.
I tre frutti dell’intesa secondo Parolin
Secondo il cardinale Parolin i principali frutti dell’accordo sono tre: 1) in Cina non ci sono più vescovi scomunicati e divisi da Roma; 2) sono stati ordinati sei nuovi vescovi, mentre 3) altri sei (tre non ufficiali e tre ufficiali) hanno preso possesso delle rispettive diocesi.
Nonostante questo, continua il segretario di Stato, «non ci nascondiamo le non poche difficoltà che toccano la vita concreta delle comunità cattoliche, sulle quali poniamo la nostra massima attenzione, e per la cui buona soluzione sono necessari nuovi passi in avanti».
Troppo pochi i vescovi ordinati
I numeri, in effetti, non fanno propendere verso la tesi secondo cui l’accordo sarebbe un successo. Secondo il governo cinese, le diocesi nel paese sono 97 (mentre per il Vaticano le circoscrizioni ecclesiali sono in realtà 147). Anche seguendo la geografia imposta dal Partito comunista, restano vacanti 36 sedi vescovili a quattro anni dalla firma dell’intesa, un terzo del totale.
In un’intervista alla Reuters, il Papa ammise che «si procede lentamente» sulla nomina dei vescovi. Dialogando con la radio spagnola COPE, Francesco aveva ribadito che «non è facile trattare con la Cina», mentre ad Aci stampa disse di sperare che in fase di rinnovo dell’accordo si possano «fare precisazioni o rivedere alcuni punti».
Impossibile sapere se le precisazioni sono state fatte. È chiaro però che la Santa Sede non può essere soddisfatta sul fronte della nomina dei vescovi. Dei sei nuovi ordinati negli ultimi quattro anni, i primi due (Yao Shun e Xu Hongwei) non hanno seguito la procedura dell’accordo. Le quattro ordinazioni frutto dell’accordo sono avvenute due nel 2020 (Chen Tianhao e Liu Genzhu) e due nel 2021 (Li Hui e Cui Qingqi). Nel 2022 non ce n’è stata nessuna ed è da un anno che tutto sembra fermo.
L’accordo tra Cina e Vaticano resta provvisorio
Secondo Gianni Criveller, che ha scritto un informato commento su AsiaNews, è interessante notare che il rinnovo è ancora una volta “provvisorio”:
«Nei piani originali del 2018 si prevedeva una possibile estensione di due anni (cosa infatti avvenuta nel 2020) per poi procedere o ad una formalizzazione stabile dell’accordo, o alla sua sospensione. Dopo due anni, in questo ottobre 2022, l’accordo non è stato né sospeso, né confermato stabilmente. È un rinnovo provvisorio. Segno evidente che, almeno da parte vaticana – l’unica da cui abbiamo dichiarazioni pubbliche sulla questione – c’è la volontà di proseguire il dialogo ma anche una certa insoddisfazione per i risultati ottenuti».
«L’esito paradossale del dialogo»
Sei ai magri risultati numerici dell’accordo, si aggiunge che la vita delle comunità cattoliche è resa sempre più difficile dalle restrizioni approvate dal governo cinese, è chiaro che la Santa Sede stessa non può certa essere soddisfatta.
Perché allora il Vaticano ha rinnovato l’accordo per la seconda volta? Padre Criveller, missionario del Pime e sinologo, propone questa interpretazione:
«Tra gli osservatori e amici cinesi con cui ho interloquito è emerso questo pensiero: se la Santa Sede rigetta l’accordo, espone i cattolici cinesi a difficoltà e ritorsioni ancora maggiori. Dunque l’accordo costituisce un male minore, atto ad evitare mali maggiori. Purtroppo temo che sia così. Se questo fosse vero, mostrerebbe però che non si tratta di un accordo in buona fede tra due parti diverse, distanti, avversarie persino, ma desiderose di trovare un punto comune. Si tratterebbe di un’intesa in cui una parte si impone e l’altra subisce. Se così fosse, l’accordo avrebbe un esito paradossale, ovvero di rendere la Chiesa non più, ma meno libera».
Foto Ansa
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