Il software più antico del mondo (e Leopardi)

Di Alessandro Vergni
09 Gennaio 2019
La natura era tanto matrigna prima, quanto lo è oggi. È vero, la tecnologia permette ora di distrarci, ma la domanda di senso resta sempre

Cari amici di Tempi, leggendo il libro The Game di Alessandro Baricco, nel quale si parla della rivoluzione digitale, cause e conseguenze antropologiche, mi sono imbattuto in questo testo e non ho potuto fare a meno di pensare al lavoro che stiamo portando avanti con gli amici dei Colloqui Fiorentini e con i ragazzi delle scuole, in preparazione al Concorso dei I Colloqui, quest’anno dedicato all’opera di Leopardi.
Vorrei condividere con voi.

Tre amici sono ad un tavolo di un ristorante a parlare di web, di social e del rapporto tra questi e la realtà.

«a un certo punto (…) la lei se ne esce con una frase che era: una volta, a un concerto dei National, era tutto così perfetto che la VITA NON AVEVA BISOGNO DI ESSERE ELABORATA e così non ho twittato niente, non ho fatto foto, non ho mandato WhatsApp, niente di niente. Lo diceva come di una cosa molto speciale, e in quel momento sono stato a sentirla, e forse ho capito una cosa che non avevo capito: che quel famoso piano inclinato non è solo il piano inclinato in discesa del gesto facile, digitale, veloce, comodo. Simultaneamente è anche un piano inclinato al contrario, in salita: cioè che quando rimbalziamo pezzi di vita nell’oltremondo (web&co, ndr) stiamo ELABORANDOLA, quella vita, e se quindi imbracciamo il nostro smartphone invece di stare lì semplicemente a guardare, ascoltare e toccare, non è solo per l’istinto dello smidollato che non sa vivere, ma è anche per la ragione contraria, cioè che la vita non è mai abbastanza, e noi saremmo capaci di più, per cui andiamo a prendercelo, quel qualcosa di più, ELABORANDOLA LA VITA, e spedendola in un oltremondo in cui, forse, lei sarà finalmente alla nostra altezza». Alessandro Baricco, The Game.

Certo, dai tempi di Leopardi il contesto è “appena” cambiato e se cedere di inganno in inganno alla prometeica ambizione di manipolare la realtà per renderla degna dell’umana altezza allora poteva essere privilegio di pochi – la durezza della vita selezionava molte velleità già in partenza – oggi tale promessa è a portata di touch per chiunque.

Non è cambiato però, e questo mi sembra essere il punto di contatto interessante, il software più antico di tutti, quello che fa provare quel senso di sproporzione davanti ad una realtà il più delle volte insondabile.
La natura era tanto matrigna prima, quanto lo è oggi. È vero, la tecnologia a disposizione permette ora, in maniera più sofisticata e ingannevole, l’elusione di quella domanda, se non ancora di senso, di totale spiazzamento davanti alle morti delle tante Silvie, come davanti alla banalità – che banalità poi non è – di scegliere di esibire solo il profilo destro, perché mette meno in evidenza il difetto del mio naso, in un processo dolcissimo e molto seducente di autocensura e di auto modellamento; ma basta partecipare a qualcuno degli incontri in preparazione ai Colloqui che vengono fatti nelle nostre città per accorgersi che nella radice più profonda non ci siamo spostati di un millimetro: figli e ragazzi che appaiono dei marziani, con lo stesso bisogno come te di un perché che non è esauribile in nessun come. E i più audaci quella domanda te la buttano anche tra i piedi, non fosse altro per vedere se anche tu inciampi come loro.

Perché oggi come allora i conti non tornano per nessuno, e oggi come allora il nodo torna al pettine, cioè torna quell’urto che, anche solo per un istante infinitesimale, ti assale nel cogliere negli occhi di lei che no, proprio non ce n’è (o che al contrario ce n’è e sei lo stesso sul ciglio di un baratro di cui non vedi il fondo);  nel sapere che tuo figlio è malato o che solamente, come te, prima o poi dovrà morire, per quanti emoji tu possa mettere accanto al suo ultimo post su Instagram; o che più semplicemente si manifesta nel gorgo buio che invade occhi, mente e petto quando, spento l’ultimo schermo, girando la testa a destra sul cuscino viene su, così acido e improvviso da non poterlo deglutire, un riassuntivo: «e quindi?».

Non si vive dentro alla nostalgia di un passato d’oro, che poi d’oro non è mai, ma dentro un presente in cui però dal passato può venire in aiuto una voce straordinaria come quella di “Leo”, oggi più amico che mai, a dirci che solo la continua apertura di quella ferita – una continua e dolorosa sequenza di apertura, sutura e riapertura – potrà iniziare una strada per una vita realmente ad opera d’arte e all’altezza di ciò che il nostro cuore desidera, cioè umana.

Alessandro Vergni via email

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