
Il sindaco di Londra vuole portare via i figli agli estremisti islamici. Una “sparata” con qualche elemento di verità
Si è bevuto in un solo sorso qualsiasi teoria buonista su immigrazione e tolleranza, fattori che nell’Inghilterra del politically correct hanno creato più danni che benefici. Boris Johnson, sindaco di Londra, è politico e giornalista dalla provocazione facile, ma quella che ha affidato domenica alle colonne del Sunday Telegraph va a toccare il nervo scoperto dei rapporti tra la nazione britannica e con le comunità musulmane, dove troppo spesso si annidano fanatismo religioso e aspiranti terroristi. Certo, può essere che dietro la provocazione di Johnson si celi anche un calcolo politico – qualcuno sostiene che voglia fare le scarpe a Cameron per soffiargli la leadership del partito conservatore -, ed è facile capire quanto sia delicato fissare un limite entro cui intervenire per “portare via” i figli. Ma, di sicuro, la sua sparata poggia su alcuni sentimenti ben diffusi tra la popolazione inglese.
«SERVIZI SOCIALI RILUTTANTI». Scrive il primo cittadino che sono centinaia i bambini, «in particolare quelli che ruotano attorno al gruppo bandito Al-Muhajiroun, ai quali vengono insegnate cose folli». Per fermare questo sistema, spiega, serve intraprendere la linea dura, anche minacciando di togliere i figli alle famiglie più pericolose: «Bambini vengono dati in affidamento quando sono esposti alla pornografia o sono vittime di abusi, ma questo non avviene se invece vengono abituati a questo punto di vista assolutamente desolante e nichilista sul mondo, cosa che li potrebbe portare a diventare degli assassini». E accusa la riluttanza dei servizi sociali ad intervenire «anche quando loro e la polizia hanno chiare prove di ciò che sta accadendo». Parole che pesano, ma che puntano a delineare una strada affinché l’Inghilterra diventi «una grande, gloriosa, policromatica società, ma dobbiamo essere altresì fermi fino al punto della spietatezza nell’opporci ai comportamenti che compromettono i nostri valori».
IL RIFERIMENTO A LEE RIGBY. Nel suo articolo Johnson si è riferito apertamente agli assassini di Lee Rigby, il soldato britannico che il 22 maggio del 2013 fu ucciso a colpi di machete a Woolwich, Londra, aggredito da due uomini di colore, Michael Adebowale e Michael Adebolajo, musulmani di origine britannica. Entrambi erano noti alla polizia per le loro idee vicine ai gruppi islamici più estremi. Il più anziano dei due era stato in carcere due volte, nel 2010 aveva partecipato in Kenya a dei campi di addestramento al jihad di Al Qaeda, e più volte era stato visto a manifestazioni del gruppo Al-Muhajiroun. La paura di Johnson è che in famiglie così estremiste possa essere alimentato «lo stesso tipo di desiderio per l’assassinio e la morte» che ha ispirato i due killer di Woolwich.
LE RONDE ISLAMICHE E LA “VEDOVA BIANCA”. L’articolo di Johnson è sicuramente provocatorio. Ma è anche indice di un clima. Dopo anni di politiche multiculturaliste, l’Inghilterra inizia ad avere qualche dubbio sulla loro efficacia. E sono sempre più gli inglesi che chiedono di intervenire per trovare un equilibrio con la presenza dei tanti musulmani nelle città. Basti pensare che a Londra, in alcuni quartieri, gli islamici sono diventati la maggioranza e, secondo alcuni giornali, hanno instaurato una sorta di sharia: con ronde notturne colpiscono per strada omosessuali, ragazze troppo scoperte, giovani che bevono alcool.
Nell’Inghilterra che ancora ricorda gli zainetti esplosivi che nel 2005 seminarono paura e morti tra pullman e metropolitane di Londra, fa ancora più spavento leggere la vicenda di Samantha Lewthwaite, la vedova bianca di Germaine Lindsay, uno degli attentatori di quell’estate: inglese convertita all’islam, da anni è diventata irreperibile, e l’Interpool è sicura abbia raccolto l’eredità del marito facendo da tramite per Al Qaeda e raccogliendo fondi in Inghilterra per le azioni terroristiche. Sarebbe stata lei una delle menti dell’attacco dei guerriglieri di Al Shabaab al centro commerciale Westgate di Nairobi, dove lo scorso settembre sono morte 62 persone.
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1 commento
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Dici bene Laura. E ancora una volta il politically correct dimostra i danni che fa.