
Il rock che grida la buona sorte
Gaetano Curreri, quando lo si incontra, non sembra affatto una rockstar: disponibile, ordinato, gentile, lontano dalle pose e dai riflettori. Una rarità in un mondo di veline e letterine per gli standard del quale un qualsiasi signor nessuno che passa due volte in tv acquisisce automaticamente il diritto alla celebrità, il più delle volte senza merito. Gaetano Curreri, invece, da oltre venti anni non solo è l’anima di una band storica come gli Stadio – accompagnare il tour Dalla-De Gregori prima e tutti quelli di Lucio Dalla poi non è da tutti, soprattutto non è da turnisti qualsiasi – ma anche l’uomo-ombra di Vasco Rossi, la spalla di cui il rocker di Zocca Modenese non può fare a meno quando si tratta di composizione e arrangiamento. Troppo diversi però, troppo diverse le strade e gli stili musicali prescelti per poter fare “casa comune” in pianta stabile. Per cui i due, come lo stesso Curreri ama ripetere, si trovano meglio quando si incontrano in “territorio neutro”, quando cioè si scambiano qualche canzone (Vasco ha dato parecchi testi agli Stadio, Curreri ha dato diverse musiche a Vasco, tra cui “Rewind” che originariamente doveva essere incisa proprio dagli Stadio) oppure lavorano per qualche artista (“E dimmi che non vuoi morire” per Patty Pravo e “Prima di partire per un lungo viaggio” per Irene Grandi). Ce ne sarebbe a sufficienza per camminare a trenta centimetri dal suolo ma lui no, lui prosegue la sua vita di sempre utilizzando la musica come un mezzo non solo di comunicazione ma di espressione di se stessi che ha molto a che fare con quella parola abusata ma mai abbastanza presente che è libertà.
Gaetano Curreri, il titolo del Meeting di Rimini di quest’anno è tratto dal Don Chisciotte di Cervantes: «La libertà è il bene più prezioso che i cieli abbiano donato agli uomini». è d’accordo?
Sono d’accordo e sono soprattutto d’accordo sul fatto che la libertà debba rifuggire da schemi e mode. La libertà è, in quanto tale, l’opposto della costrizione a logiche che ne negano l’essenza. Questa convinzione la vivo ogni giorno da 25 anni, da quando come band abbiamo deciso di non seguire le tracce di chi mercanteggia all’interno del mondo della musica, di chi ha schemi precostituiti che sono l’antitesi di quanto un artista vorrebbe per se e per gli altri. Come Stadio abbia sempre seguito e perseguito la nostra strada in estrema libertà, consci dei rischi che questo può comportare in un ambiente come quelli del music business ma anche convinti che alla lunga la qualità e l’onestà di fondo prevalgono sempre.
Certo, all’inzio è stata dura farsi accettare come realtà autonoma e non più come costola di Lucio Dalla.
Senza dubbio. C’era un enorme scetticismo attorno a noi, il fatto che “la band di Lucio Dalla” volesse mettersi in proprio e seguire un proprio progetto artistico era visto dai più come il classico passo più lungo della gamba, un misto di presunzione e poca oculatezza di giudizio. Inoltre ad aggravare il tutto c’era il fatto che la nostra musica non era catalogabile in base alle categorie classiche, la nostra scelta di fondare il rock con testi che si rifacevano alla tradizione del cantautorato spiazzava i critici. Ci chiedevano: «Ma voi cosa siete?». è stato difficile farci accettare per ciò che in realtà eravamo ma l’essere coerenti con noi stessi ci ha aiutato a venirne fuori, a sfuggire alla tentazione di diventare catalogabili. Sai, la libertà per essere vera ha bisogno di avere buona memoria poiché solo così si è sempre in grado di riconoscere quale percorso stiamo facendo, vederne le radici ma anche lo sviluppo.
Parlare di libertà riferendoci al mondo musicale è certamente più facile che farlo parlando della realtà di questi tempi, mi riferisco agli attentati di Londra. Cosa pensa di quanto è accaduto?
Penso che la libertà, proprio la libertà, sia la nostra più grande difesa contro questi nazisti e le loro idee fondamentaliste e malsane. Questa gente, esattamente come comunismo e nazismo che negavano l’essenza stessa di libertà, stanno portando nel mondo lutti e drammi in nome di un’ideologia cieca e folle. Sta a noi, per salvarci, costruire un mondo attorno al concetto di libertà, perché se la persona che ci sta seduta accanto al bar non è un uomo libero siamo tutti più infelici e insicuri. Comunque..
Comunque?
Ci tengo a premettere una cosa, prima di dar adito a fraintendimenti di stampo ribellistico. Libertà, per quanto mi riguardo, non vuol dire affatto fare il cazzo che ci pare e piace. Anzi, è l’esatto contrario. La libertà dell’individuo deve servire come strumento per costruire e difendere la libertà altrui, non è mai un conflitto tra “diritti” individuali da far prevalere. O, almeno, così non dovrebbe mai essere. Ritengo fondamentale questa distinzione netta, perché è proprio in una sbagliata concezione della libertà che risiede il cancro del fondamentalismo. Questa gente, infatti, concepisce il mondo al contrario, sono folli che non hanno nemmeno idea di cosa sia la libertà. Il caso dell’assassinio di Theo Van Gogh è esemplificativo in tal senso: il killer, infatti, si è trovato contornato di una libertà che non conosceva e l’ha tramutata nel suo nemico, ha soggettivizzato l’omicidio dell’intera società olandese e delle sue regole in un quello fisico di Van Gogh, ai suoi occhi espressione massima della perversione occidentale per la libertà. è agghiacciante.
A fine agosto uscirà il vostro nuovo album, “Amore volubile”, ma nelle radio si sente già da qualche tempo il singolo “Buona sorte”. Vuoi parlarcene?
Abbiamo scritto “Buona Sorte” al ritorno da un tour in Sud America. E lì, “buona sorte” è più di un “buona fortuna”! Vuole dire che farò qualcosa per te, perché tu abbia un futuro migliore: che io pregherò anche per te, come dico nella canzone (e non mi era mai capitato di cantarlo prima!). è un modo per augurare di vivere tempi migliori di questi. è una sorta di ricerca dell’ottimismo, perché se è oggettivo che tutti quanti cerchiamo la fortuna è altrettanto vera che questa finisce prima o poi. La buona sorte invece è un cammino, qualcosa che si costruisce giorno per giorno con le azioni e le parole: è un progetto, un’attitudine positiva ma soprattutto costruttiva. E posso dirlo perché io tutto questo l’ho sperimentato sulla mia pelle, questa esperienza l’ho sentita e vissuta. Certo, nel mio caso c’è stata anche una buona componente di fortuna perché se non fossi stato male sul palco durante un concerto ma a casa, forse per quell’ictus sarei morto.
In che senso?
Nel senso che avere accanto gente che ti conosce così bene da capire dall’intonazione della tua voce che qualcosa non va, che stai male e ti salva la pelle agendo tempestivamente è una vera fortuna, va ammesso. Il fatto è che comunque anche questa esperienza drammatica è servita, da quel giorno per riprendermi ho dovuto fare cose che mi hanno fatto avere un buona sorte, appunto. Da credente, poi, ho pregato. Molto. L’ho fatto e continuo a farlo come esercizio quotidiano ma anche in maniera diciamo “laica”: verso qualcuno che ho di fronte, verso una situazione, verso il mondo, una sorta di appello. Un’idea di vera libertà, totale.
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