
Il ritardo dei servizi sanitari. È possibile un rimedio e quando?

Sui quotidiani si ripetono interventi dal tono rassegnato di lettori che descrivono la medesima vicenda sanitaria. Una persona si è recata in un grande ospedale specializzato per una visita richiesta da un suo stato di grave malattia. Ha avuto un rapporto buono con il medico specialista ed è rimasto soddisfatto. Nella relazione conclusiva il medico ha espresso la sua premura segnalando diverse prescrizioni e ha consigliato una nuova consultazione necessaria in un tempo breve per il prudente trattamento della infermità. Gli ha consigliato di prenotare subito il prossimo incontro.
Il paziente si è rivolto al numero unico della Regione, che è l’unica modalità di prenotazione disposta dall’assessorato al Welfare. Il funzionario addetto al centralino gli ha risposto che era possibile ottenere quanto richiesto in un periodo di tempo prolungato, molto superiore rispetto a quanto prescritto. Gli ha consigliato di telefonare frequentemente per sapere, se fosse intervenuta qualche rinuncia e così trovare una data più ravvicinata. Il soggetto ne ha tratto un certo sconforto. Ansia perché ha temuto che la dilazione potesse alterare il suo programma di cura e perché il giudizio del suo medico era stato contraddetto dalla stessa organizzazione sanitaria. Sconcerto perché ogni telefonata al numero unico di prenotazione implicava una attesa molto lunga, Incertezza perché chi rispondeva dal centralino pur con una forma professionale di attenzione, non lo rassicurava, e non avrebbe potuto farlo, circa gli esiti sulla sua salute del cambio di programma.
Estraneità dei ruoli
Si tratta di una forte contraddizione all’interno del sistema. L’atto medico in sé ha avuto tutte le caratteristiche di pregio. Si è svolto in una struttura all’avanguardia, provvista di strumentazione avanzata. La prestazione è stata eseguita da uno specialista di certificata competenza che è stato capace di stabilire una relazione fiduciaria con il paziente e ha espresso il suo prendersi cura con prescrizioni e consigli. Tutto ha prodotto soddisfazione e senso di sicurezza nel paziente perché ha percepito che il suo stato grave di malattia era conosciuto ed affrontato insieme ad un professionista che aveva con lui un legame di accoglienza e di stima. Ma tutto ciò si è bruscamente interrotto quando dal rapporto diretto con il curante si è dovuto affidare alla organizzazione di servizio. Qui l’estraneità dei ruoli ha in gran parte sostituito la relazione di cura.
La condizione nella quale non si sa che cosa fare per risolvere un profondo disagio può spingere a rivolgersi ad una diversa organizzazione, nella quale con il pagamento diretto è agevole ottenere senza ritardi la prestazione necessaria. Vicende simili aumentano la loro numerosità, tanto da rappresentare la normalità, perché si prevede senza alcun dubbio che molte persone con gravi malattie possano conservare la loro autonomia e la loro vita proprio in funzione del corretto svolgersi del processo di cura.
Ruoli separati
Si è avviato un fenomeno che ha coinvolto tanto i pazienti che i loro medici. I medici sono invitati ad esprimere un loro giudizio eccellente senza coinvolgersi, senza accompagnare, senza valutare se il percorso sanitario che prospettano sia in realtà possibile, quale peso abbia. I pazienti sono invitati a procurarsi beni sanitari con ogni mezzo in modo da uniformarsi a schemi di cura senza che sia prevista domanda di aiuto o richiesta di compagnia. Ciascuno spinto in un suo ruolo separato, se non alla fine ostile.
La narrazione nella sua semplicità svela quanto è accaduto e tende ad affermarsi nella nostra compagine sociale. Fin dalla tradizione classica la ragione dei fini ha guidato l’azione professionale. Questa ha portato la medicina a dotarsi progressivamente degli strumenti più adeguati alle sue conoscenze e sempre più sofisticati per lo scopo di aumentare la capacità di intervento e il valore dei risultati. Così anche la strumentazione più avanzata è stata considerata come metodo o procedimento sottoposto alla razionalità degli scopi che il medico sceglieva di assegnarle. Il tempo ha registrato il successo di questo modo della professione e ha portato alla costruzione di imprese economiche nelle quali organizzare i beni e i servizi per il massimo vantaggio.
Calcolo costo/beneficio
Negli anni post-moderni l’imponenza di beni e servizi è cresciuta più rapidamente ed in maggiore misura rispetto alla posizione dei soggetti degli interventi sanitari. Rispetto cioè alle persone che dovevano delineare gli scopi dell‘impegno professionale e così esercitare la razionalità dei fini. Ciò è avvenuto sopratutto in quelle figure nelle quali più è sviluppata la specializzazione e la particolarità professionale. D’altra parte, i pazienti non hanno accresciuto la loro capacità di fiducia e sono stati spinti a stimare la dotazione strumentale della organizzazione piuttosto che il rapporto personale con i professionisti.
Questa sproporzione ha provocato una radicale trasformazione di soggetti e strumenti. L’idea della tecnica quale strumento neutrale e dipendente dalla razionalità dei fini umani è incominciata ad apparire inadeguata, dato che lo svolgersi delle entità organizzative e tecniche si definivano da esse stesse. Si è affermato un indirizzo per cui le strutture, con i loro beni e servizi, scelgono le finalità in base al calcolo del costo/beneficio che conviene ottimizzare, oppure non riconoscono propriamente finalità e si limitano alla retro-alimentazione, alla sussistenza del loro stesso procedimento.
Non più soggetti
In tale modo si è prodotta una condizione del tutto nuova nei confronti a quanto avveniva in tempi precedenti. Una condizione nella quale è una razionalità tecnica che determina il susseguirsi degli atti professionali. E tenendo conto del costo dei beni e servizi si viene a pensare che tale metodo sia l’unica razionalità socialmente obiettiva.
Nella moderna visione il soggetto della professione è dunque la struttura, economica e organizzativa. Il programma di cura, nella maggiore parte, non è più nelle prerogative del medico ma è disposto dalla organizzazione tecnica della impresa sanitaria. Quest‘ultima dispone degli strumenti dell’agire pratico, come è avvenuto nelle vicende ricordate di ritardo dei servizi. I pazienti che consumano prestazioni e i medici che prestano la loro opera qualificata non sono più i soggetti, ma sono reclutati in ruoli strumentali. Inevitabilmente la azienda sanitaria che persegue scopi di costo/beneficio e mantenimento di sé non è in grado di suscitare alcuna relazione di cura né di mantenerla nel tempo.
Aumenta l’insoddisfazione
Si prospetta di fatto nella professione sanitaria un tempo nel quale la tecnologia, dei beni e della organizzazione, non è più uno strumento al servizio di quei fini che il medico ed il suo paziente in relazione vogliono raggiungere. La tecnologia è in realtà un protocollo / soggetto per prendere decisioni sulle azioni da far eseguire ai medici e realizzare sui pazienti, sulla base dei principi di indifferenza e sostituibilità delle persone e delle procedure.
In un orizzonte i cui termini sono così mutati il disagio di molte persone non può essere giudicato solo conseguenza di un marginale ed episodico disservizio che può essere corretto con un potenziamento della tecnica organizzativa.
Centrali di informazione hanno cercato di interpretare il malessere di molti. Hanno così prodotto analisi dettagliate dei tempi di attesa per ottenere dal Servizio sanitario nazionale i singoli interventi diagnostici o terapeutici ed hanno elaborato proiezioni riguardo al danno per la salute provocato dalla mancanza o dalla dilazione delle prestazioni. Ciò ha provocato una diffusione di allarme, ha aumentato l’insoddisfazione verso il servizio pubblico e alimentato una pesante percezione di torto subìto ed ingiustizia.
Pazienti consumatori
Le autorità regolatorie sono intervenute per abbreviare le liste di attesa con diversi provvedimenti e numerose promesse. Da una parte, per accrescere la produttività del sistema hanno introdotto una puntuale attività prescrittiva sui numeri del lavoro sanitario e prospettato una incentivazione economica straordinaria legata alla numerosità delle prestazioni realizzate. D’altra parte, hanno reclutato temporaneamente nuovi esecutori con gruppi di medici provenienti dall’estero, con medici remunerati a gettone affiliati a cooperative estranee al sistema, o hanno proposto di richiamare in servizio ultrasettantenni. Ed infine hanno facilitato una selezione della domanda secondo la disponibilità economica offrendo interventi in tempi ridotti a chi paga direttamente.
Sembra che si preferisca sostenere il consumo di prestazioni, anche con un limitato aumento della forza lavoro più che riconoscere la fisionomia del bisogno di salute in coloro che lo vivono, pazienti e professionisti. Non ci si interroga sul come si svolge il lavoro, in quali condizioni e con quali intenzioni, sul suo valore e la sua efficacia. Ma così facendo i pazienti divengono sempre di più consumatori dipendenti, isolati, allarmati e scontenti, ed i medici anonimi prestatori d’opera antagonisti tra loro. Tutti sempre più disinteressati riguardo al futuro del servizio pubblico.
Declassificazione
Questi provvedimenti rivolti ad ampliare una linea produttiva dell’azienda, per aumentare la numerosità della produzione di interventi frammentati, hanno provocato una modesta riduzione delle liste di attesa ma non hanno risolto lo scontento delle persone, il loro isolamento, la preoccupazione per la salute, la rinuncia ed il giudizio negativo sul servizio pubblico.
L’intervento più difficile ma più urgente si situa ad un diverso livello. Esso consiste senz’altro nel ri-significare e ri-equilibare i fattori del sistema sanitario. Il soggetto non può che essere chi subisce l’infermità e chi personalmente se ne prende cura. La loro relazione ha subìto una declassificazione della propria ontologia. Il medico di fatto tende a non avere più la disponibilità né dell’origine (è la struttura che accoglie e definisce i limiti di operatività) né del compiersi della sua azione professionale (è la struttura che impone i tempi e le possibilità di prosecuzione). Il paziente è sostanzialmente privato della scelta di esercitare un suo personale affidamento e spinto a preferire la ricchezza degli impianti e l‘apparenza di una organizzazione anonima, fino ad acquistare con danaro un privilegio.
Legame medico paziente
Due indirizzi sembrano necessari per il recupero della correttezza delle funzioni sulla via di ri-significare e ri-equilibrare il sistema della cura sanitaria.
Il primo sta nella formazione dei sanitari. Essa non può essere una fase per accedere ma piuttosto una dimensione interna della professione. Ancora oggi gli ambiti della formazione e della professione soffrono di un’incomprensibile estraneità.
Sanità è l’operatore e la sua espressione sul paziente. La formazione dei professionisti è il bene che permette lo stabilirsi del rapporto di cura. Dal sanitario formato il sapere si estende inevitabilmente al paziente e al suo nucleo familiare. Riguardo al contenuto della formazione non è possibile concepire, in modo gravemente riduttivo, che il medico diventi unicamente l’esperto manipolatore di presidi di tecnologia e di procedura. Ben di più il medico acquista via via la sua identità se preparato alla responsabilità del legame di cura. È proprio il legame liberamente costituito con il paziente il soggetto razionale che acquista la capacità di definire gli scopi e le modalità di applicazione degli strumenti disponibili nella professione.
Alcune prospettive sembrano originali:
- l’inserimento a pieno titolo del personale sanitario nell’Università, negli Enti di ricerca indipendente e di formazione con livelli appropriati di entrambe le funzioni di allievo e docente nel corso dell’intero ciclo professionale.
- lo sviluppo dei Medici di Medicina generale e dei Pediatri di libera scelta con la loro specializzazione in Cure Primarie. Così sembra possibile muoversi verso una pratica di cooperazione funzionale della sanità territoriale e della specialistica ospedaliera.
L’insieme paziente e suo medico, la relazione di cura, così poco valutata, considerata indifferente, nonostante tutto avviene oggi; non solo è possibile, ma è produttiva e soddisfacente. Essa è un rapporto adeguato all’umanità comune di paziente e medico. È in grado di modulare la domanda, di umanizzare la prescrizione, di rendere appropriata la prestazione, di accompagnare il percorso di malattia e di guarigione. La relazione medico paziente si è dimostrata in grado di attenuare la ripetitività, la sovrapposizione e la frammentazione grave delle prestazioni sanitarie.
La relazione di cura è oggi contraddetta ed ostacolata in vari modi. La mancanza di formazione dei professionisti, la indisponibilità di luoghi di cura e di tempi adeguati, la burocratica difficoltà di accesso ai servizi, la mancanza di una ragionevole distribuzione armonica del lavoro sanitario tra diverse figure professionali sono gli elementi più espressivi di un ostacolo al formarsi di una efficace relazione di cura.
I luoghi di cura
Il secondo indirizzo sta nella rivisitazione dei luoghi di cura e nel ripensamento della pratica attuazione della attività. La relazione di cura, diversamente da quanto accade oggi, deve risultare favorita con la disponibilità di luoghi agevoli, del tempo necessario e flessibile del suo svolgimento, della presenza attorno ai medici e loro pazienti di strumenti al loro servizio e non contro di essi. La relazione medico/paziente deve cessare di costituire una anormalità tollerata ma perseguita con la dotazione di supporti stabili di personale integrativo, di tecnologia sanitaria e di comunicazione efficiente. La mancanza di facile accesso ai luoghi di cura, alle pratiche amministrative, alla comunicazione tra i professionisti, anche di strutture diverse, la spersonalizzazione dei processi devono essere rimossi prioritariamente per cessare di essere l’ostacolo, talora insormontabile, dello svolgimento dell’atto clinico.
Si comprende così che il ripensamento per una burocrazia limitata ed amica, per un’agile comunicazione, per la presenza costante di sostegno di organizzazione e di personale non rivesta importanza secondaria. Per alcune categorie, gli anziani, i disabili, la difficile pratica porta alla rinuncia della cura. L’agibilità e l’accoglienza personalizzata non possono essere rimandate ad un perfezionamento della organizzazione attuale ma costituiscono un metodo presupposto ad ogni attività innovativa. In questa direzione la cura al domicilio è la modalità da perseguire in misura crescente.
Ri-significazione e ri-equilibrio
Quali dunque le intenzioni? Criteri dell’Istituzione, che offre servizi, o criteri del bisogno sofferto che chiede accoglienza? L’offerta predispone un operatore qualificato che fornisce la sua prestazione. Così esercita la sua specialità in maniera separata e con ciò conclude l’impegno con il paziente. Da qui il moltiplicarsi con bassa efficacia di isolati interventi e di spese. Fallisce in questo modo una medicina personalizzata ed una continuità. Il paziente, anche se consumatore di servizi eccellenti, è sostanzialmente abbandonato perché non preso in carico da alcun settore e obbligato a rincorrere le varie competenze, in genere con costi economici ed emozionali elevati. Al contrario l’offerta diventa corretta ed efficace quando nasce come completamento di una prossimità pre-esistente, già operativa, la relazione di cura appunto.
Appare evidente che il Servizio sanitario regionale è sollecitato in misura crescente e trova difficoltà a rimanere efficace in conseguenza di un grave squilibrio tra i suoi elementi che hanno subito un significativo degrado. Sembra passato il tempo degli indirizzi dirigisti per potenziare in maniera acritica l‘esistente Si prospetta al contrario l’opportunità di una decisa collaborazione, frutto di una amicizia civile in vista del bene comune, da parte di tutte le forze con le loro specificità. Così si può realizzare l’intento di dare avvio ad una vera ri-significazione, e di conseguenza a un ri-equilibrio, dei singoli fattori che sostengono l’istituzione pubblica.
Marco Botturi, medico, è stato direttore della Unità di Radioterapia del Grande Ospedale Metropolitano Niguarda e docente a contratto alla Facoltà di Medicina della Università degli studi di Milano.
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