
Il regime militare del Myanmar «è al collasso» e la Cina trema

La cattedrale di Cristo Re a Loikaw, nello stato birmano orientale di Kayah, al confine con la Thailandia, è diventata un caserma. La chiesa, che aveva accolto gli sfollati in fuga dalla guerra tra il regime militare e le milizie ribelli, è stata attaccata brutalmente e poi occupata dai soldati del dittatore Min Aung Hlaing.
«L’esercito ha occupato la cattedrale»
Il vescovo di Loikaw, monsignor Celso Ba Shwe, ha diffuso così la notizia: «A causa dell’intensificarsi dei combattimenti in novembre oltre l’80% della popolazione urbana e rurale dello stato di Kayah è ormai sfollata internamente. L’11 novembre circa 800 persone hanno iniziato ad affluire nel compound della cattedrale di Cristo Re. Tra vecchi e nuovi sfollati il numero delle persone ha superato quota 1300».
«La giunta birmana ha utilizzato armi pesanti, aerei da combattimento, missili balistici e sistemi di difesa mobile» contro la popolazione, ha aggiunto il vescovo. «L’esercito birmano ha tentato per 3 volte di assumere il controllo del compound della cattedrale di Cristo Re, mentre il vescovo e i sacerdoti residenti si sforzavano di far capire ai generali l’importanza dei siti religiosi, chiedendo di risparmiare almeno questo posto. Ciò nonostante la notte del 26 novembre i militari hanno sparato intenzionalmente e ripetutamente contro il Centro pastorale pezzi di artiglieria da 120 mm, colpendo il tetto della cappella e facendo crollare alcuni soffitti. Per questo motivo, a salvaguardia di tutti, il vescovo e i sacerdoti hanno deciso di abbandonare la struttura. E subito prima della partenza sono arrivati 50 soldati che l’hanno occupata per usarla come proprio rifugio».
Il colpo di Stato e la guerra civile in Myanmar
È solo l’ultimo episodio della violenza insensata, inaudita e ormai fuori controllo scatenata nel paese dal colpo di Stato del 2021 del generale Min, quando invece di accettare il risultato elettorale favorevole alle forze democratiche preferì arrestare la leader eletta, Aung San Suu Kyi, e mettere al bando tutti i partiti politici di opposizione.
Da allora la resistenza, riunita sotto il cartello delle Forze di difesa del popolo, ha dato filo da torcere al regime riuscendo a riconquistare un terzo del paese.
L’Alleanza delle tre confraternite
A ottobre c’è stata anche una vera e propria svolta nell’ambito della guerra civile: tre importanti milizie etniche – l’Esercito di liberazione nazionale Ta’ang (Tnla), l’Esercito Arakan (Aa) e l’Esercito dell’alleanza nazionale democratica del Myanmar (Mndaa) – riunite sotto il nome “Alleanza delle tre confraternite” (3ba) si sono messe insieme per lanciare “l’operazione 1027” nello stato di Shan.
Nel giro di poche settimane hanno catturato 220 avamposti militari e strappato all’esercito il controllo di Chin Shwe Haw, sede del principale passaggio di frontiera tra il Myanmar e il suo grande alleato, la Cina. Dalla città passa anche la maggior parte del commercio sino-birmano. Allo stesso modo, sono passate ai ribelli le importanti località di Khampat e Reh Khaw Da, fondamentali per il commercio con l’India.
Massacri di civili e 2,3 milioni di sfollati
Secondo il governo ombra in esilio, il regime «è al collasso» e i disertori nell’esercito sarebbero ormai quasi 20 mila. Il generale Min ha reagito come sempre fatto negli ultimi tre anni, invitando la popolazione a sostenere il regime e l’esercito regolare e ordinando di massacrare i civili radendo al suolo interi villaggi.
Anche se la guerra non ha ancora raggiunto le grandi città come Yangon, Mandalay o Naypyidaw la situazione è al limite con oltre 2,3 milioni di sfollati interni.
La Cina inizia a tremare
L’offensiva delle milizie etniche, che ha dato seguito alla “Operazione 1107” e alla “Operazione 1111” di altri gruppi armati, ha fatto scattare l’allarme anche in Cina. Dopo aver invitato il governo dei generali a garantire la «stabilità» lungo la frontiera, Pechino ha organizzato esercitazioni a fuoco vivo in vari punti della provincia meridionale dello Yunnan, al confine con il Myanmar.
La Cina, che sostiene il regime birmano dal punto di vista militare e finanziario, potrebbe porre fine alla guerra in ogni momento, ritirando il suo appoggio al governo (dal colpo di Stato ha già venduto oltre 250 milioni di dollari di armi al Myanmar) ma difficilmente lo farà.
Il Myanmar è fondamentale per Pechino
Il Myanmar è molto importante per la Cina, garantendo al Dragone risorse fondamentali come petrolio, gas, stagno raffinato e soprattutto terre rare. Si calcola che il 12,5% della produzione mondiale di terre rare sia in Myanmar.
Più delle risorse, però, gli interessi della Cina sono “geografici”: il Myanmar si trova sulla costa orientale del Golfo del Bengala, da dove Pechino può controllare uno dei suoi nemici storici come l’India. Il governo comunista cinese si è già impossessato del porto di acque profonde, fondamentale per ragioni commerciali e militari, di Kyaukphyu.
Inoltre i porti del Myanmar sono molto vicini allo Stretto di Malacca, fondamentale per il commercio marittimo cinese, che può restare così sotto la costante sorveglianza di Pechino.
Se il regime militare collassa
È difficile insomma che la Cina autorizzi un cambio di regime in Myanmar, ma davanti all’inevitabile potrebbe anche instaurare un rapporto costruttivo con il governo ombra, accelerando la dissoluzione della dittatura militare.
Sarebbe un evento epocale per il Sud-est asiatico, dal momento che l’esercito in Myanmar governa senza sosta dal 1962, pur avendo dismesso nel 2010 la divisa militare per indossare panni civili.
Foto Ansa
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