Il referendum contro le paritarie di Bologna è «ideologico». E fa male alle tasche dei cittadini

Di Emmanuele Michela
11 Dicembre 2012
Grillini e Sel spingono per una consultazione che parli «alla pancia più che alla testa». Intervista al presidente di Fism Bologna Rossano Rossi

Le 13.500 firme raccolte sono state consegnate da tempo in Comune. Superano, e di molto, le 9 mila necessarie per richiedere un referendum, così, a breve, i bolognesi saranno chiamati ad esprimersi in via consultiva sulle convenzioni tra comune e scuole per l’infanzia paritarie. Un voto molto contestato nel capoluogo emiliano, osteggiato dal Pd ma portato avanti da Sel e Idv. La città ancora non assapora il clima elettorale, ma per le scuole paritarie e le associazioni di categoria su quella scheda si gioca una battaglia non soltanto economica, ma anche culturale. Tempi.it ha voluto parlarne con Rossano Rossi, presidente di Fism Bologna, l’ente che riunisce decine di asili non statali della provincia.

C’è davvero il rischio che il referendum cada a febbraio, in concomitanza con le elezioni politiche e con un’agevolazione troppo netta per chi vuole che vinca il sì?
In teoria no, essendo che il regolamento comunale dice espressamente che i referendum consultivi comunali non possono coincidere con altri appuntamenti elettorali. Se si vogliono accorpare i due voti bisognerebbe modificare lo statuto comunale, cosa che però troverebbe in disaccordo anche parte della maggioranza in consiglio comunale, cioè quelli del Pd. Va però detto che questo referendum è consultivo, quindi non ha quorum: certo però è che, se vincesse il sì con un’alta partecipazione, il peso sarebbe totalmente diverso rispetto ad una vittoria con pochi voti.

Come vi state preparando a questo referendum? Com’è il clima in città?
In questo momento se ne parla poco, se non in rare occasioni: il tema è ancora freddo, il voto pare lontano. Ci sono stati già alcuni dibattiti pubblici ma la partecipazione è stata decisamente scarsa. Noi come rete di scuole ci stiamo dando da fare: non ci nascondiamo dietro a giochi di varia natura, ma vogliamo farne una battaglia culturale, tenendo alto il livello del confronto. Ci teniamo a far capire ai bolognesi l’effettivo valore della presenza di queste scuole paritarie, sia da un punto di vista amministrativo, quindi ribadendo che senza questa fetta di scuole è difficile fornire un servizio a tutta la cittadinanza, e sia dal lato culturale, battendo forte sul fatto che in base alla legge 62 il sistema scolastico è fatto da scuole sia statali sia paritarie, e tutte svolgono un servizio pubblico. Vogliamo far capire alla città che la presenza di alcuni enti no-profit che si rimboccano le maniche per offrire un servizio di questo tipo sono un servizio e non un problema.

Qual è l’utilità di un sistema scolastico simile a quello di Bologna, che affianca alle scuole pubbliche quelle paritarie convenzionate?
Il vantaggio del sistema, nel suo complesso, è molto semplice: se ci fosse un unico gestore intento ad offrire quasi il 100 per cento di possibilità nelle scuole per l’infanzia, di fatto, non ce la farebbe. A Bologna il nostro Comune ha alle spalle una lunga tradizione di interventi su questa fascia scolastica, a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, quando ancora lo Stato non forniva servizi d’asilo, che quindi erano in mano a privati o enti locali. A Bologna ora le percentuali vedono quasi il 60 per cento di scuole gestite dal comune, il 15-16 è statale mentre il resto è gestito da noi. Così è possibile avere un sistema plurale per organizzazione e impostazione educativa, e si riesce a offrire alle famiglie un numero cospicuo di posti non gravando su un unico gestore. Con un guadagno effettivo ben quantificabile: il Comune spende per un suo posto in una scuola per l’infanzia fino a 6900 euro, mentre per uno in un asilo convenzionato 500-600 euro.

Qualora il referendum dovesse passare, quali sarebbero le conseguenze in termini economici per le scuole materne bolognesi?
Questo contributo del Comune ricadrebbe tutto sulle tasche delle famiglie. Con conseguenze pesanti: le nostre rette ora si aggirano tra i 1600 e i 2000 euro all’anno, che si gonfierebbero di altri 500-600 euro. Quanti genitori, in questo momento, sono disposti a sborsare cifre simili? Sicuramente il sistema entrerebbe in crisi. Non dico che subito il giorno dopo le nostre scuole paritarie dovrebbero chiudere, però indubbiamente un cambio sarebbe avvertibile: calerebbero gli iscritti, diminuirebbero le sezioni e quindi gli insegnanti, avremmo asili più d’élite.

Che impressioni avete circa il risultato del referendum?
Noi dobbiamo essere fiduciosi e ottimisti: se facciamo l’elenco delle ragioni dalla nostra parte possiamo vincere tranquillamente. Dall’altra parte ci sono solo ragioni pregiudiziali ed ideologiche, e chiunque si metta a fare due conti capirebbe l’assurdità di una posizione di questo tipo. Il problema è che in questi scontri referendari si ragiona molto per slogan che parlano alla pancia: “Niente soldi ai privati” è una frase che salta sempre fuori e riesce sempre a fare presa. Il nostro timore è che la pancia prevalga sulla testa.

Come si organizzerà nell’eventualità il comune di Bologna? Conseguenze per la maggioranza?
L’amministrazione di Bologna, col Pd, il suo maggior partito, è nettamente schierata contro questo referendum, e la cosa ci fa pensare che anche nella malaugurata ipotesi che il sì vinca si riescano poi a trovare i modi di tenerne conto fino ad un certo punto. Probabilmente l’indizione di questo referendum ha come scopo sia quello di colpire le nostre scuole sia di minare dall’interno la maggioranza stessa, magari da parte di qualcuno che cerca più visibilità. Noi chiaramente speriamo di vincere, anche perché una vittoria metterebbe finalmente fine a queste lotte: è da quando sono partite queste convenzioni, dal ’94, che ci sono alcune persone che ci fanno guerra, magari con ricorsi al Tar, o alla Corte Costituzionale. Tutti questi tentativi sono andati male, così ora si giocano la carta del referendum.

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