
Il piccolo Luigi e il Bambino di Betlemme

Un bambino è nato per noi, per noi. Ecco cosa ricorderà don Antonio Ruccia questa Natale ai parrocchiani di San Giovanni Battista: ricorderà il vagito acuto di una creatura che strillando paonazza li aveva attirati tutti a sé, attorno alla sua culla, facendo irruzione nel tempo, segnando per sempre il tempo. Una crepa nella storia, un pianto invincibile e prepotente, il pianto di un bambino nato per noi.
Faceva molto caldo, la mattina del 19 luglio, nel rione Poggiofranco di Bari. Un quartiere di gente per bene, una comunità intorpidita dall’estate e sfinita dalla paura del virus, una domenica come tutte le altre, quando la suoneria del cellulare del parroco don Antonio era risuonata nella quiete della canonica. La suoneria di sempre, poi don Antonio aveva visto il display: «Culla».
UN NEONATO «AMATO PER SEMPRE»
Ricordate cosa accadde dopo? Il respiro intrappolato nei polmoni, la corsa del don verso la porticina della stanzetta parrocchiale che da cinque anni custodiva una culletta termica dotata di sensori che si sarebbero attivati nel caso in cui vi fosse stato deposto un neonato – mai era provenuto un suono da quel luogo, mai il peso caldo di un bambino aveva attivato il dispositivo collegato al cellulare del parroco -, ed eccolo, il piccolissimo di nove giorni in tutina a strisce bianche e azzurre, che dava fiato al pianto invincibile e prepotente dei primi giorni di ogni bambino. La chiamata al 118 per portarlo al Policlinco di Bari, il biglietto, trovato dal personale medico appena sollevato il neonato e consegnato al parroco: «L’ho aperto – aveva raccontato don Antonio a Tempi -, c’era scritto il nome, la data di nascita, 10 luglio, e che era stato allattato al seno. Un piccolo pezzo di carta che si concludeva con un messaggio per lui: “Mamma e papà ti ameranno per sempre”».
«LUIGI È STATO AFFIDATO»
E la storia di Luigi aveva fatto il giro del mondo. Letteralmente: le tv di mezza Europa avevano raggiunto la chiesa di San Giovanni Battista dove cinque anni fa don Antonio aveva proposto al consiglio pastorale e al policlinico di Bari di installare una culla per la vita, versione moderna della “ruota degli esposti” che permetteva alle donne di lasciare il proprio neonato indesiderato o impossibile da mantenere. «Luigi non è stato abbandonato – aveva ripetuto a tutti don Antonio – , Luigi è stato consegnato a un luogo scelto con cura e che prometteva di prendersene cura. Non è stato lasciato nottetempo, nonostante la culla sia sempre aperta, 24 ore su 24, ma un quarto d’ora prima della Messa domenicale, quando i genitori erano certi che sarebbe stato trovato in fretta, che non era solo, che qualcuno avrebbe risposto al suo pianto».
Una comunità si era stretta allora attorno a Luigi, una comunità che dopo i mesi scanditi dalla paura e dai pianti di adulti smarriti, aveva trovato quello che stava aspettando. Il vaccino? No, un bambino: il pianto che chiedeva tutto di un neonato, un avvenimento nuovo da annunciare di bocca in bocca – così era stato e di Luigi si era saputo di costa in costa, montagna o città – con gioioso senso di stupore, di sorpresa e di gratitudine. Un avvenimento che da quel giorno avrebbe «segnato i giorni nuovi che ci attendono, quelli in cui la voce di un figlio che nasce ci costringe a guardarlo, ci strappa dal niente e dalla paura di un virus invisibile», ci aveva detto don Antonio.
A SAN GIOVANNI COME IN TERRA SANTA
Sono passati cinque mesi da quella mattina d’estate e ieri sera in San Giovanni Battista si è celebrata la nascita del bambino di Betlemme rinnovando la promessa di custodire ogni nascita di ogni piccolo Luigi: «Scartato, affidato, rifiutato: quante volte questi termini sono risuonati sulla bocca di tanti per cercare di individuare quello più adatto per capire e spiegare quanto è accaduto nei tuoi pochi giorni di vita. Eppure, caro Luigi – ha detto don Antonio, leggendo una lettera scritta per il piccolino di Bari inviata anche al nostro giornale -, gli stessi termini più di duemila anni fa, sono stati usati per un altro bambino. Un bambino che i suoi genitori hanno chiamato Gesù. Un bambino come te». Nessuno offrì accoglienza a sua madre e suo padre, nessuno poteva comprendere che l’atteso dalle genti potesse nascere da quei due poveri ragazzi della Galilea. «Quel pianto che squarciò la notte, non solo fece sobbalzare dal sonno i pastori, ma li spinse ad andare da Lui. Proprio come è successo a te. Il tuo pianto ha messo in moto una macchina di solidarietà che ha raccolto tanti e tante che, ricredendosi sull’efficacia di una culla termica nell’era del post-moderno e del pieno efficientismo, non solo ha posto degli interrogativi ma, soprattutto, ha aperto nuovi squarci di vita. Un bambino affidato come te. Perché più che abbandonato tu, come Gesù, sei stato affidato. Affidato ad una parrocchia, ad una comunità che ti ha accolto in un batter di ciglia incondizionatamente».
IL COMPITO CHE CI AFFIDA OGNI NASCITA
Come pastori, in tanti a Bari hanno cercato di offrire a Luigi tutto quello che avevano, molte famiglie, spiega don Antonio, si sono aperte all’accoglienza «e a cominciare l’iter per quell’affido che in tanti avrebbero voluto aver già aperto per poterti subito avere come figlio. Un affido che ancora oggi chiede che nessuno sia lasciato solo. E tu, come quel piccolo di Betlemme, ci affidi un compito: impegnarci per la vita e non lasciare nessun bambino per strada, né quando nasce, né quando cresce, né quando diventerà uomo, perché nessuno è un errore».
Ieri sera a Bari, il popolo di San Giovanni ha ringraziato Luigi per aver ricordato a una società di adulti smarriti nella pandemia che oltre due millenni fa un bambino è nato per noi, per noi, affidando a ciascuno un compito per la vita «che non deve arrestarsi né di fronte alla pandemia, né di fronte a tutto ciò che la contrasta o la distrugge», «perché ci sia sempre un giorno nuovo che squarcia anche la notte più oscura». Proprio come nelle regioni montuose della Galilea, quando un vagito squarciò il tempo e la storia e un popolo di gente smarrita portò ciascuna fragile vita, affaticata, straziata da paura, speranza e commozione davanti a una piccola mangiatoia.
Foto Ansa
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