Il Piano Mattei funzionerà se sarà costruito anche “dal basso”

È una buona opportunità che non deve vivere solo di progetti calati dall'alto. Anche i territori devono essere protagonisti di questo piano e non bastano le relazioni fra Stati.

Giorgia Meloni presenta il Piano Mattei, 29 gennaio 2024 (Ansa)

Un cambio di strategia reale o semplicemente una tattica di comunicazione? Questo è il quesito che in tanti si stanno ponendo a valle del vertice Italia-Africa che si è tenuto pochi giorni fa a Roma, durante il quale sono stati presentati dalla presidente Giorgia Meloni i presupposti essenziali del Piano Mattei. La domanda è legittima ma per rispondere è altrettanto importante entrare nel merito. Da tempo, infatti, si discute di come l’Italia possa e debba svolgere un ruolo di ponte verso l’Africa, sia per ragioni geografiche, sia per motivi storici e culturali. Del resto, noi siamo dirimpettai del continente africano e porta di accesso verso l’Europa, dunque, più direttamente interessati a ciò che accade in quel continente, che ricordo ha un’età media di 19 anni e vedrà raddoppiare la propria popolazione entro i prossimi trent’anni.

Il Piano Mattei e il vertice Italia-Africa, dunque, serviranno realmente a questo scopo? Innanzitutto, è utile ricordare che per la prima volta quest’anno il vertice ha visto la partecipazione di circa la metà dei leader degli stati africani, che sono 54. Tra la settantina di ospiti presenti c’erano, infatti, il presidente dell’Unione africana Azali Assoumani, della Commissione dell’UA Moussa Faki, una dozzina di presidenti di Stati africani, un’altra dozzina tra vicepresidenti e primi ministri e i rimanenti erano ministri degli esteri, autorità di governo o ambasciatori dei paesi intervenuti. Questo certamente è un fatto significativo che pone l’Italia in una posizione diversa rispetto al passato (il vertice si faceva anche negli anni precedenti ma solo a livello ministeriale) e che denota una chiara volontà politica di questo Governo. Porre l’Italia al centro delle riflessioni tra Europa e Africa è un risultato politico inconfutabile. A dare sostanza a questa affermazione le presenze, insieme al nostro Governo, dei presidenti di Commissione, Consiglio e Parlamento europeo (Ursula von der Leyen, Charles Michel e Roberta Metsola) e del vicesegretario generale Onu Amina Mohammed.

Rimostranze e contenuti

Il successo politico non può altresì farci omettere le rimostranze degli ospiti africani che hanno lamentato il fatto di non essere stati preventivamente messi al corrente sui contenuti del Piano e quindi ancora una volta di non essere stati considerati come interlocutori alla pari. A dar voce a questa critica in particolare è stato l’intervento del presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki che ha sottolineato che «l’Africa è pronta a discutere i contorni e le modalità dell’attuazione del Piano Mattei, sul quale avremmo auspicato essere consultati». Tutto ciò benché nel suo intervento introduttivo la presidente Giorgia Meloni abbia espressamente citato la necessità di trattare i Paesi africani su un livello paritetico. «Pensiamo sia possibile scrivere una pagina della storia delle nostre relazioni. Una cooperazione da pari a pari lontana da qualsiasi tentazione predatoria ma anche da un’impostazione “caritatevole” dell’approccio con l’Africa che mal si concilia con le sue straordinarie potenzialità». Questo è un punto decisivo: ogni collaborazione con l’Africa oggi presuppone, per essere positiva, un rapporto realmente paritario, non dall’alto in basso quindi, anche basato sul reciproco interesse.

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La più importante riflessione, in ogni caso, riguarda i contenuti. Nell’ossatura del Piano Mattei sono inserite cinque grandi priorità d’intervento: istruzione e formazione, salute, agricoltura, acqua ed energia. Sfide impegnative ma che al contempo offrono grandi opportunità per tutti i paesi coinvolti. Ancora più determinante il nuovo metodo che si intende utilizzare: una serie di azioni che possano partire dal basso e costituire un punto di svolta che ha bisogno del protagonismo e delle risorse delle imprese e delle organizzazioni della società civile, che da decenni nei fatti si occupano di costruire in Africa le condizioni minime di sviluppo: dai progetti delle ong alle tante missioni cristiane, dalle scuole di formazione, agli impianti produttivi realizzati dalle nostre imprese. Il Governo ha annunciato che saranno destinati al Piano Mattei 5,5 miliardi: 3 arriveranno dal fondo italiano per il Clima e 2,5 dalle risorse per la cooperazione allo sviluppo. Anche su questo sono state avanzate delle critiche, ma la verità è che non basteranno se non diventeranno il volano per sostenere quanto già esiste, anziché per sostenere progetti calati dall’alto.

Modello di collaborazione

La critica più cinica è quella di aver posto il tema dell’acqua e dell’energia all’attenzione del Piano Mattei, come se la scelta nascondesse la volontà di appropriarsi delle risorse energetiche (gas e petrolio) dei Paesi africani. Su questo tema il riferimento a Mattei è quanto mai opportuno; infatti, colui che fu considerato il più illuminato presidente dell’Eni, costruì la propria fama proprio su un modello di collaborazione con i Paesi produttori di petrolio che non voleva essere predatorio, ma di reciproca convenienza. In molti asseriscono che la sua strana morte in un incedente aereo, sia stata la conseguenza della sua ostinata battaglia contro il cartello delle “sette sorelle” (le principali compagnie petrolifere), che lo accusavano esplicitamente di un approccio troppo collaborativo e diverso dal loro basato sul mero sfruttamento delle risorse del terzo mondo. Nella logica del reciproco interesse, dunque, è realistico e necessario, in un rapporto paritetico, prevedere un interesse non predatorio anche per noi italiani ed europei. Questo nostro interesse consiste nel breve periodo in una diversificazione delle forniture energetiche fossili, dopo lo stop al gas e petrolio russo; consiste più chiaramente nel medio e lungo periodo nella possibilità di dare contenuto concreto al “diritto a non emigrare” dai paesi africani, contribuendo a costruire condizioni per lo sviluppo in loco e dando contenuto reale allo slogan “aiutiamoli a casa loro”.

Serve infine un’ulteriore riflessione: se si vuole costruire una relazione dal basso, allora anche i territori devono essere protagonisti di questo piano e non bastano le relazioni fra Stati. Come Regione Lombardia siamo pronti a candidarci con azioni concrete a supportare il Piano Mattei. La strada tracciata è quella giusta, l’augurio è quello che esso vada oltre i propositi e prenda rapidamente forma concreta, dimostrando tutte le potenzialità che esso contiene. Su questo bisognerà valutare davvero il Piano Mattei e la volontà politica del nostro Paese: sui progetti e sui risultati concreti, non sugli annunci. La Lombardia è pronta a fare la sua parte.

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