
La preghiera del mattino
Il perverso percorso iniziato da Veltroni e finito in Schlein

Su Startmag Francesco Damato scrive: «Il barcone che trasportava dalla Turchia disperati provenienti da terre devastate dalle guerre e dal terremoto si è spezzato per le condizioni agitate del mare ed ha fornito alla Schlein, ad urne dei gazebo ancora aperte, di prendersela appunto col governo in carica: non con gli scafisti che si fanno strapagare la corsa alla morte che offrono ai disperati, non con l’Europa che finanzia il rigore della Turchia nella sorveglianze dei confini terrestri, per precluderli a chi cerca altrimenti la salvezza, non con la cattiva sorte. No, solo e sempre contro il governo, come se qualche nave dei soccorsi volontari fosse sul percorso scelto dai mercanti di carne umana e fosse stata tenuta lontana dalle direttive di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, o del ministro Matteo Piantedosi al Viminale, o di un altro Matteo, Salvini, dal ministero di Porta Pia».
La centralità del “talk show”, cioè di una discussione centrata sulla frase d’effetto invece che sull’analisi critica dei problemi, è cresciuta in Italia man mano dopo il 1968 in modo ancor più pervasivo di quanto è successo (inevitabilmente e per certi aspetti anche positivamente) in altre società occidentali, perché le “agenzie” capaci di organizzare una riflessione critica (partiti, grandi quotidiani autorevoli, circoli intellettuali garanti della dignità della discussione) dalle nostre parti si sono man mano indebolite, fino a subire un colpo decisivo nel 1992. È possibile tentare oggi una riscossa per responsabilizzare criticamente la discussione pubblica dopo una fase così lunga di dominio della “frase”? È molto complicato. Ma, peraltro, è un tentativo necessario.
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Su Huffington Post Italia Alessendro De Angelis scrive: «Per la prima volta nella storia del Pd il voto delle primarie rovescia quello degli iscritti. E già, detta così, la novità è clamorosa: il segretario, che ha preso la tessera del Pd per l’occasione, cosa che non fu consentita qualche lustro fa a Beppe Grillo, lo scelgono “i passanti”, avrebbe detto Massimo D’Alema con baffuto sarcasmo. Appuntiamoci questo spunto di riflessione su cosa sia, oggi, un partito».
L’idea di far scegliere non un candidato a qualche elezione, quindi un rappresentante dei cittadini non solo di iscritti a una in qualche modo “privata” organizzazione politica, ma il segretario di un’associazione volontaria come un partito non poteva che venire in mente a un personaggio così culturalmente screditato come Walter Veltroni, che ha sempre e sistematicamente sostituito all’analisi politica il gesto e la frase demagogici. Oggi il perverso percorso allora imboccato si è perfettamente perfezionato con l’elezione dell’improvvisata Elly Schlein. Quel che resta di una sinistra ancora dotata di un pensiero critico dovrebbe cercare almeno di riflettere su una forma istituzionale che consenta di razionalizzare una situazione così insensata come quella che abbiamo di fronte a noi. Così a occhio una possibile risposta potrebbe essere quella di puntare a collegi uninominali con primarie connesse, sostenute anche da una qualche forma di finanziamento pubblico, tentando così di generare e rigenerare un rapporto razionale tra cittadini e politica.
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Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «Ecco dunque che la nuova centralità dell’Italia va ben oltre il ruolo della premier Meloni. È un sistema che muta e che delinea un nuovo asse di potere che parte dal Baltico, passa per la Polonia e finisce nel Mediterraneo. E così stride con il dramma balcanico e riaccende bracieri mai spenti. È un fuoco che deve cominciare a diventare una brace, altrimenti non potrà mai spegnersi».
In una fase in cui le forze della disgregazione non smettono di incombere sulle sorti della nostra democrazia, la regola per cui l’elemento centrale della politica è la politica estera, potrebbe aiutarci a cercare e tentare una via di uscita.
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Su Affaritaliani si scrive: «“Ormai sono diversi anni che l’Europa ha smarrito completamente la strada per la competitività, continuando ad inseguire una visione demagogica e populista che porta alla sostanziale deindustrializzazione del nostro continente”. Lo dice in un’intervista al Sole 24 Ore Antonio D’Amato, presidente dell’European Paper Packaging Alliance. E definisce il Green Deal “una politica che è un mix di ideologia, demagogia, estremismo ambientalista, unita ad una crescente deriva politico-elettorale in vista delle elezioni Ue del 2024. C’è una totale assenza di visione strategica di quello che l’Europa deve essere. Il risultato? Uno solo: il rischio, in tempi brevi, di un vero e proprio suicidio industriale”».
D’Amato è stato l’ultimo presidente di Confindustria che ha fatto pesare in Italia gli interessi delle imprese sulla scena pubblica. Dopo di lui c’è stato alla guida di viale dell’Astronomia anche un altro vero industriale come Giorgio Squinzi, però non ce l’ha fatta a ripetere quel che d’importante aveva realizzato rappresentando le industrie chimiche. Oggi in un momento in cui una incerta Ursula von der Leyen non riesce a combinare le necessarie scelte a difesa dell’ambiente con una razionale politica industriale, mentre in Italia l’improvvisata Elly Schlein, alla testa della principale forza d’opposizione in Parlamento, sostiene le posizioni più oltranziste in tema di ecologia presenti in Europa, e insieme parla di reintrodurre l’articolo 18 e di puntare sulla patrimoniale per estendere l’intervento pubblico, sarebbe indispensabile una svolta di tipo damatiano negli indirizzi dell’organizzazione degli imprenditori.
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