
Il paradiso è dei ladri

L’unico che sappiamo essere con certezza in Paradiso è un ladro. Si tratta di Disma (così nominato negli apocrifi), il cosiddetto “buon ladrone” cui Cristo in Croce disse: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23, 43).
Bazzicatori o no della buona novella cristiana, non si può non rimanere senza parole davanti alle mille provocazioni di Cristo. Fra tutte, quella che concerne Disma è una delle più grandi: a uno che in vita operò un gran male («Noi giustamente [siamo condannati], perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni», Lc 23, 41), bastò un unico, finale istante di pentimento, e riconoscere, «nel vedere quest’uomo che muore (…), nella pietà che non cede al rancore» (De André, Il testamento di Tito), il figlio di Dio.
Fino all’ultimo istante
Su questa provocazione che squassa ogni certezza, sull’ingiustizia del mistero dell’amore che acciuffa anche chi non se lo merita, costruisce il suo romanzo breve Andrea Mobiglia, giovane scrittore laureato in Economia, già autore di alcuni thriller autopubblicati su Amazon, che per i tipi di Cantagalli ha dato alla luce quest’estate Il buon ladrone (ricevendo le congratulazioni e la stima del cardinal Zuppi).
In questo racconto-sguardo Mobiglia ripercorre dalla cima della sua croce le estreme ore di Disma, che mosso dalla vista dall’alto della via crucis attende l’arrivo di questo nuovo, strano condannato, riaprendo la porta al proprio passato, ricordando i passi falsi e gli incidenti che lo hanno portato ad essere un “ladrone”, senza ombra di attributi positivi fino all’ultimo istante.
Il Manfredi di Dante
La fantasia biografica non pesta mai i piedi al testo sacro e, echeggiando Péguy, dà vita ad una ricca riflessione spirituale, il cui merito principale è quello di farci stare qualche minuto sul Golgota assieme ai protagonisti della via crucis, a contemplare, guardando e lasciandoci guardare, la provocazione dello sguardo innamorato di Cristo, con la freschezza garantita dalla buona narrativa, in un linguaggio semplice e piano.
Un’occasione da non perdere per rituffarsi nel mistero del perdono, alla radice della consolazione del Manfredi di Dante: «Orribil furon li peccati miei; || ma la bontà infinita ha sì gran braccia, || che prende ciò che si rivolge a lei» (Purgatorio III, 121-123).
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