
Il nobile militante antisovietico. L’ignobile militare antidemocratico

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Zbigniew Brzezinski. Nacque il 28 marzo 1928. Nacque a Varsavia. Il padre, nobile polacco, dopo avere servito come diplomatico nella Berlino di Hitler e nella Mosca di Stalin, aveva concluso la carriera in Canada. La sua intenzione era di inviare Zbigniew a studiare in una prestigiosa università inglese, ma per problemi di immigrazione dovette ripiegare sull’Università di Montreal.
Una volta laureato, Zbigniew passò a Harvard, per occuparsi di relazioni internazionali: il taglio della sua tesi di dottorato sul comunismo dell’età leniniana fu molto apprezzato e il successivo lavoro di ricerca e di insegnamento largamente sovvenzionato da centri interessati alla politica internazionale, non esclusa la Cia. Tuttavia, a Harvard non riuscì mai a ottenere la tenure, una carriera garantita, sicché nel 1959 passò alla Columbia University di New York. Il sospetto, storico, quasi genetico, dell’aristocrazia polacca nei confronti della Russia, se non bastava a raffreddare il suo idealismo liberale, rendeva il suo anticomunismo assoluto, proprio quando altri politici, europei di nascita come lui, Kissinger per esempio, promuovevano una politica di distensione.
Da democratico, lavorò per la campagna di Kennedy. Collaborò – con riserva nei confronti del vicepresidente in pectore Humphrey, troppo vicino ai repubblicani – all’elezione di Johnson. Fu però con il presidente Carter che poté dare un senso alla sua avversione all’Urss. Quando i sovietici invasero l’Afghanistan, fu lui a precipitarsi nella Tribesland, quella vasta striscia di frontiera al di qua del Khiber Pass che i trattati internazionali assegnano con ottimismo al Pakistan. Il suo compito era di distribuire finanziamenti e armamenti ai capi dei mujaheddin che resistevano all’occupazione. Qualcuno arrivò a insinuare che era stato proprio lui a brigare perché i russi invadessero l’Afghanistan, certo che sarebbero andati incontro a un disastro. Si disse anche che aveva brigato presso i cinesi perché appoggiassero Pol Pot, solo perché i khmer rossi erano nemici del Vietnam ormai comunista. Nelle sue memore Brzezinski negò le due circostanze. Nel 1989 all’Accademia sovietica delle scienze chiese che i russi riconoscessero il massacro a Katyn di ventiduemila tra ufficiali e personalità polacche. Fu applaudito a lungo. È morto venerdì 26 maggio.
Manuel Antonio Noriega. Nacque l’11 febbraio 1934. Nacque a Panama City. Il padre era ragioniere, la madre la sua cameriera. Fu dato in affidamento. A quattordici anni entrò nella scuola militare. Vinse una borsa di studio per la scuola militare di Lima, in Perù. Sottotenente, divenne seguace di Omar Torrijos. Nel 1967 viaggiò negli Stati Uniti, frequentò corsi di operazioni nella giungla alla Scuola delle americhe nella zona del Canale. A Fort Bragg nel North Carolina fu istruito sulle operazioni psicologiche.
Nel 1969 ebbe una parte importante nell’affermazione di Torrijos, che lo nominò capo dei servizi segreti militari. Nel 1981 Torrijos perì in un misterioso incidente aereo. Nel periodo politicamente confuso che seguì, Noriega, capo delle forze armate, divenne il vero padrone di un paese in cui il presidente eletto non aveva alcun mezzo per fare rispettare la propria autorità. Permise elezioni truffa, fece favori agli Stati Uniti, si arricchì enormemente con il commercio della droga e si fece notare per i gusti dispendiosi e stravaganti.
E quando ormai era diventato un alleato troppo imbarazzante per l’America, nel dicembre del 1989 Washington intervenne con venticinquemila uomini per fare rispettare la legalità democratica: Noriega si rifugiò nella legazione del Vaticano. Le Nazioni Unite condannarono l’intervento, ma Noriega non trovò molto appoggio nella popolazione. Finì per consegnarsi. Trattato con i guanti, come un prigioniero di guerra e un generale a tre stellette, dovette però affrontare una serie di processi per traffico di droga e riciclaggio di valuta: in Florida, a Parigi e nel suo stesso paese. Condannato a quarant’anni di carcere, ottenne gli arresti domiciliari per sottoporsi a un’operazione al cervello. È morto lunedì 29 maggio.
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