
IL NEO PAPA
«Bisogna che in occasione del Conclave Michelangelo insegni al popolo». Così scriveva Wojtyla immaginando questi giorni. è uno dei suoi vertiginosi appunti poetici, contenuti in “Trittico romano”.
Cosa insegna Michelangelo, al popolo, su cui si sono gettati come jene mille commentatori, mille giornalisti, spacciatori di immagini? E il popolo ha ancora occhi per vedere? Quella nascita e quel giudizio, quell’esser creati e quell’esser posseduti fino al destino. Quella vita e quella morte. E quella “somiglianza”. La immagine e somiglianza al Creatore. La figliolanza. Di questo sarà incaricata la responsabilità del chiamato. Del prescelto. Per tutti.
Si narra che Giulio II, il committente della Sistina, era spazientito a tal punto per ritardi e altre faccende con il grande pittore da colpirlo con il pastorale. Al che il Maestro se ne andò e non c’era modo di farlo tornare sui suoi passi. Infine fu il Papa ad andare dall’artista. E al segretario che faceva notare a Michelangelo che sarebbe dovuto venire lui, il Papa disse. «Ma va’ in malora e taci». Perché al Papa, fin dal primo attimo in cui lo è e in quell’aula Sistina alza gli occhi, Michelangelo insegna. La grandezza di cui è custode. La paternità di cui è segno. Lo insegna a lui, come lo insegna al popolo.
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