
Il mondo a parte di Adriano Sofri dove la violenza del ’77 è ancora “innocua”
Che analisi mediocre ha dato Adriano Sofri sulla Repubblica di quel drammatico 1977 in cui il terrorismo prese il sopravvento! A sentir lui si trattò dello scontro tra una gioventù delusa e reclusa nel mito del Potere e della repressione e un governo e una sinistra chiusi in un’ottica di scontro frontale: l’«oltranzismo infantile» di Cossiga e l’«imprudenza micidiale» di Lama che «sfidano» il movimento all’Università di Roma e così scavano «tra il movimento operaio e i giovani un fossato mai più colmato». “I” giovani? Ma di che parla Sofri? “Quei” giovani non erano “i” giovani, ma un’infima minoranza del paese, e anche della gioventù di sinistra. Sofri guarda soltanto ai compagni di allora e li prende a emblema di una generazione; mostrando così di vivere in una bolla separata dalla realtà e di ignorare la dimensione morale della vicenda. Dice infatti che l’uccisione dello studente di Lotta Continua Francesco Lorusso – che scatenò i gravissimi incidenti del 12 marzo a Roma – fu «a ridosso di un’incursione malaugurata ma innocua» di militanti di sinistra in un’assemblea di Comunione e Liberazione. Come si fa a definire «innocui» gli atti di violenza che venivano quotidianamente perpetrati in quegli anni, impedendo di parlare, coprendo di sputi chi la pensava diversamente? Violenza è soltanto picchiare e ammazzare? E che dire dell’affermazione secondo cui quando, il 12 marzo, fu attaccata con le molotov la sede della Dc, le forze dell’ordine «non aspettavano altro» e così la città fu messa a ferro e fuoco. La sola concessione in questo stupefacente scambio di responsabilità sta nel non dire che i lanciatori di molotov erano agenti della Cia.
Sofri evidentemente non ricorda o non ha mai vissuto realmente quanto accadde all’Università di Roma nel 1977: beni pubblici devastati o distrutti, decine di migliaia di persone sequestrate e impossibilitate a lavorare e a studiare da un manipolo di esaltati, in nome della “violenza di classe”, costrette ad aspettare a casa per interminabili settimane che la faccenda sbollisse perché il governo non voleva eccitare gli animi e il Pci cercava la via per “cavalcare” il movimento e riportarlo entro i binari della politica. Altro che ottica di scontro frontale. Lo stesso comizio di Lama all’università fu il frutto di una visione tutto sommato aperta nei confronti del “movimento”: non a caso non era protetto da un serio servizio d’ordine. Per Sofri non ha rappresentato e non rappresenta tuttora nulla l’immagine dei viali della Sapienza percorsi da manipoli di “katanga” (come venivano chiamate le squadre armate del movimento) con passamontagna e spranghe. Ancora non si rende conto di quanta gente – e quanta di sinistra – abbia vissuto con desolazione questo umiliante scempio della civiltà e della politica. E viene a parlare di fossato tra «i giovani» e il movimento operaio. Certo, ha anche ragione, ma in senso opposto. Perché il fossato che invece si aprì fu quello con i tantissimi giovani, anche di sinistra, che non capirono la condiscendenza delle istituzioni e dei partiti di sinistra per una minoranza violenta, fanatica e priva di qualsiasi obbiettivo decifrabile. È un fossato che non si è mai colmato se ancora oggi c’è chi ragiona come Sofri, ignorando i pensieri e i sentimenti di chi fu brutalizzato da quella violenza; e riproponendo il solito spettacolo di una sinistra che scambia il palcoscenico dei propri psicodrammi con la realtà e confonde quei psicodrammi con la storia; invece di ripiegarsi a riflettere e soltanto dopo aver pensato scrivere.
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