
Il mondo, il puntino, la X (e una spada per accettare il duello)
Caro direttore, mi chiedi un contributo per lo speciale Meeting di Tempi e non posso dirti di no. Per simpatia, per quella simpatia che ci lega da trent’anni e per cui vale la pena che tu faccia Tempi, e lo faccia in modo speciale per il Meeting. Quella simpatia per l’essere e per la realtà per cui ha un qualche senso anche il mio lavoro di giornalista al Foglio.
Il mio amato Chesterton diceva di essere pronto a dimostrare tutta la teologia cattolica se gli fosse stato concesso di partire dal valore supremo di due cose: la ragione e la libertà. Io, quando mi chiedono perché sono cristiano rispondo o raccontando una storia (la storia di quella simpatia di cui sopra) o, per farla breve, perché è una questione di libertà e di intelligenza, di più libertà e di più acuta intelligenza della realtà.
Quest’anno al Meeting ragionate di libertà. “La libertà è il bene più grande che i cieli abbiano donato agli uomini”. Quando l’anno scorso ho sentito l’annuncio del titolo mi è tornato in mente un manifesto appeso nella stanza di un amico che alloggiava in un pensionato universitario di Torino. Anni Settanta, sfondo rosso con scritta nera “Los hombres nacen para ser libres”, non ricordo più il nome del gruppetto extraparlamentare che firmava quel tat tze bao, ma non importa, ricordo nitidamente la stanza e dove era appeso, e che pensai: «è vero». Altrettanto nitidamente ricordo quel giorno di febbraio del 1979, era il 21, quando capii in modo definitivo qual era l’unica possibilità per me di essere libero. Ero nella Sala Rossa del Pime (Pontifico istituto opere missionarie) di Milano, con altri seicento studenti universitari. Ero partito da Torino a mezzogiorno e mezza per arrivare in tempo per l’inizio della lezione di don Giussani, l’ottava di quell’anno del suo corso sul Senso religioso. Inizio alle due mezza, un’ora un’ora e mezza di spiegazione e domande e ripartenza per Torino. Il terzo punto della lezione di quel giorno era sulla “scomparsa della libertà”. Rivedo don Giussani che si alza e va alla lavagna alla sua sinistra, prende il gessetto, fa un cerchio e ci disegna dentro un puntino. «Ecco, vedete, questo cerchio è il mondo e questo sei tu» dice rivolto personalmente a ognuno dei seicento presenti. «E in questa situazione l’uomo è totalmente schiavo del potere, se l’uomo è solo il risultato della biologia di suo padre e di sua madre non ha alcun diritto di fronte a questo potere. C’è un solo caso in cui quel punto è libero da tutto il mondo.» e traccia una X al di fuori del cerchio «. è che abbia qualcosa in sé che sia rapporto diretto con l’infinito», e congiunge con un tratto deciso il puntino dentro il cerchio con la X che lo sovrastava. Lì ho capito chi ero e ho avuto chiaro che l’unica vera alternativa al potere, a ogni totalitarismo, era la religiosità. Il limite al tentativo di possesso dell’uomo sull’uomo, alla dittatura dell’uomo sull’uomo è il mio legame con l’Essere. Quel che ogni potere che si fa prepotenza odia è la religiosità autentica che il cristianesimo difende. Come ci ha documentato la storia del dissenso sovietico e come ci documenta il laicismo che assume le forme esasperate del socialismo ciudadano di Zapatero.
UN N.B. PER L’ANDREA’S
Con questa certezza dentro ho studiato, mi sono laureato, sposato, ho avuto figli, ho insegnato e ora faccio il giornalista in quel vascello corsaro che è il Foglio. Oddio, non voglio prendermi troppo sul serio, di gente che ha un alto concetto di sé sono (erano) pieni i manicomi, siamo giornalisti, mestiere spesso ignobile, iene dattilografe, come dice D’Alema, dai proclami facili sulla libertà di stampa e dal piano ferie inderogabile. Siamo pagati a fine mese perché ogni giorno mandiamo in edicola chi quattro chi quaranta pagine, sono compromessi quotidiani e non potrebbe essere altrimenti. Ma, mi disse un giorno don Giussani, «voi giornalisti, per il mestiere che fate, avete ogni tanto la possibilità di riscattarvi». Ci sono momenti in cui la bistrattata verità urge. E «per uno che sappia appena tenere in mano una spada è sempre un onore accettare un duello» (sempre Chesterton), e anche un mestierante che si lasci per un istante assalire dalla realtà e dalla sua evidenza può provare l’entusiamo di lanciarsi in una guerra culturale. Mani pulite e il garantismo, il revisionismo storico, gli sberleffi al conformismo culturale e ai suoi mostri sacri, il Bobbio del «non ho mai parlato del mio fascismo giovanile perché me ne ver-go-gna-vo», l’opposizione senza ambiguità neanche lessicali al terrorismo islamista, il riconoscimento dello scontro di civiltà in atto, la campagna per “fratello embrione e sorella verità”, il dissenso laico, femministe che discutono dei testi del Papa, l’attenzione “devota” ma non reverenziale alle ragioni del magistero di Wojtyla prima e di Ratzinger adesso. e poi anche l’Estate di Guia Soncini, e le sublimità e le sconcezze di Camillo Langone. Per me dieci anni di Foglio sono in fondo tutti qui: una promozione a vicedirettore e il gusto rinnovato di una sfida per tentare di essere degno del dono di cui parla don Chisciotte: la libertà.
Auguri per il Meeting.
P.S. Non fate leggere questa pagina ad Andrea Marcenaro, mi vuole bene, ma ha una pericolosa rubrica a disposizione.
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