Il mondo cambia, la Croce resta

Di Roberto Colombo
20 Aprile 2019
«Guardando il Crocifisso si comprende che l’impossibile diventa possibile». L'omelia del Venerdì Santo di don Roberto Colombo. Da Notre-Dame alle nostre vite
La croce all'interno di Notre-Dame risparmiata dall'incendio

Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata la sera del Venerdì Santo, 19 aprile 2019, da don Roberto Colombo nel Duomo di Monza al termine di una gremita Via Crucis per le strade della città.

Abbiamo ascoltato, nella chiusa del brano dal Vangelo di Giovanni, l’ultima delle sette parole di Gesù sulla Croce: «È compiuto! E – annota l’evangelista – chinato il capo, rese lo spirito» (Gv 19,30).

Sono le sette parole di Gesù in articulo mortis tanto meditate, a partire dal XIV secolo, dai francescani e dal popolo di Dio. Hanno ispirato anche gli artisti, tra Franz Joseph Haydn, che compose il grandioso oratorio Die sieben letzten Worte unseres Erlösers am Kreuze (“Le sette ultime parole del nostro Redentore in croce”) per il Venerdì Santo del 1786, su commissione del vescovo di Cadice.

La traduzione «È compiuto» – o, come nella versione precedente, «Tutto è compiuto!» – non rende l’originale greco, e rischia di tradirne il significato, perché in italiano si deve usare una parafrasi per tentare di esprimere una sola parola, tetelestai, il perfetto del verbo teleo, che significa “giungere allo scopo”, “conseguire la meta”, “arrivare al fine” e non – come la traduzione lascia supporre – “arrivare alla fine”, “concludere”, “porre termine”.

Con la morte di Gesù in croce, con la quattordicesima stazione della Via Crucis, non è finita la scena, non si è chiusa la rappresentazione, e esso basta, possiamo andare a casa e riprendere tutto come prima, perché la partita è terminata. Il tempo perfetto, in greco, ci dice che la morte di Gesù è avvenuta, che Gesù ha raggiunto la perfezione della sua vita, lo scopo della sua vita, il bersaglio della sua missione: donare l’amore redentore del Padre agli uomini, strapparli dal potere delle tenebre e della morte, spalancare la nostra libertà all’infinito. Ma lo stesso tempo verbale, il perfetto, dice anche che la Croce resta, immutata nel tempo, in vigore anche oggi. È accaduta duemila anni fa, e ci è data, ieri, oggi e sempre. Questa sera non abbiamo commemorato il passato, abbiamo vissuto il presente di Cristo nella nostra vita.

I monaci certosini hanno riassunto questa certezza nella giaculatoria «Stat Crux dum volvitur orbis» («La Croce resta, mentre il mondo cambia») che ripetevano decine di volte ogni giorno. La Croce di Cristo rimane salda, lì, sulla roccia del Golgota, mentre passa la commedia del mondo. Al contrario, l’uomo moderno – cioè noi – pensiamo che il modo resti saldo, la vita vada avanti, comunque verso il positivo, e invece la Croce tramonti, poco a poco, dall’orizzonte della storia, della cultura, della società e della politica. Emarginata, ritenuta inutile, quando non apertamente avversata, rimossa, combattuta.

Nei giorni scorsi, ci hanno impressionato le immagini dell’incendio della cattedrale di Notre-Dame, a Parigi. Molti hanno pianto la rovina di un monumento insigne, di un capolavoro dell’arte. Pochi si sono commossi di fronte alla fotografia della croce e della Madonna ai suoi piedi, accogliente Gesù morto tra le sue braccia, che sono rimaste intatte sull’altare sotto la cupola crollata. Eppure, questa immagine potentemente esprime la irresistibile forza, la divina tenacia dell’Amore crocifisso che vince ogni violenza della natura e dell’uomo.

Potessero, questa sera, i nostri cuori, i cuori di noi qui presenti nel duomo, bruciare d’amore per Cristo crocifisso! Sarebbe un incendio, un fuoco purificatore, rinnovatore di noi stessi, delle nostre famiglie, delle nostre comunità cristiane, dei luoghi di lavoro, delle scuole, della nostra città. Un miracolo d’amore per cambiare il mondo!

Guardando il Crocifisso si comprende che l’impensabile diventa pensabile, che l’impossibile diventa possibile, che la povertà può diventare ricchezza, che l’ingiustizia può diventare giustizia, che la miseria morale può diventare grazia.

Fissando lo sguardo sul Crocifisso, si capisce la coraggiosa decisione di ragazzi e ragazze, belli, intelligenti, appassionati di consacrarsi a Dio nella verginità, si comprende la scelta di vivere l’amore casto nel fidanzamento, si apprezza la decisione di un uomo e di una donna di unirsi nel matrimonio fedele e aperto alla vita che ancora tanti scelgono, si scopre la bellezza del servizio ai poveri come missione di chi vi dedica l’intera vita.

Monza, città di Monza dalle antiche e profonde radici cristiane, risvegliati! Riscopri la tua autentica nobiltà: «I dolori e la passione che Cristo soffrì sono la nostra nobiltà» (San Giovanni Crisostomo). Città che custodisci in questo tempio la reliquia del ferro della Croce, riscopri l’amicizia di Cristo, la bellezza di Cristo, la verità di Cristo, l’amore di Cristo, e fanne il cuore, il centro della vita delle nostre famiglie, delle aziende, delle scuole, degli ospedali, dell’accoglienza degli stranieri, della vita civica e della politica. Con la Croce di Cristo tutto è possibile, è più facile e lieto. Senza la Croce di Cristo, tutto è più duro, ostile, difficile.

Monza, città sazia di cibo, di abiti belli e di vetrine luccicanti, di auto potenti e di case comode, ma affamata di speranza, assetata di amore e mendicante di fede, il Crocifisso ti attende per donarti quello che da soli non possiamo conquistare, quello che il nostro cuore desidera ma non sa darsi: la gioia e la pace, «che il mondo irride, ma che rapir non può» (A. Manzoni, Inno La Pentecoste).

Foto Ansa

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