
Il McDonald’s secondo Massobrio (che elogia il gastrofighettismo)
Se pensiamo al fast food e al suo re, McDonald’s, certo non viene in mente un’immagine di salute e qualità. Eppure la catena insiste da sempre nel dire che tutto il cibo da loro servito è rigorosamente controllato e sicuro. Ma la ricchezza del sapore di un prodotto a filiera breve o italiano è di sicuro altra cosa. Ora il re dei fast food fa sapere che a breve debutteranno nei menù dieci prodotti a denominazione di origine protetta (Dop), simbolo del made in Italy. Su quali tra l’infinita varietà di prodotti italiani cadrà la scelta verrà reso noto a fine maggio. Tempi.it ha chiesto un parere sull’iniziativa a un esperto in materia enogastronomica, Paolo Massobrio, presidente dell’Associazione Club di Papillon e autore del Golosario, giunto ormai alla tredicesima edizione.
Pensa che questa scelta sia un passo in avanti per il fast food o un passo indietro per la qualità italiana?
L’iniziativa non va a intaccare il made in Italy, non fa venire meno la sua qualità. Allo stesso tempo non vedo come le porzioni mastodontiche tutti i giorni servite da Mcdonald’s possano stare al passo con i nostri prodotti, mantenendo i loro prezzi bassi, visto che si tratta di una catena per tutte le tasche. Sicuramente è un’attenzione in più, un miglioramento generale, ma non mi straccerei le vesti dalla gioia, ecco.
Cosa proporrebbe allora alla catena per migliorarsi?
Se si sfruttasse la stagionalità dei prodotti del nostro territorio, se ad esempio mettessero in menù più insalate, più verdura, pur mantenendo i prezzi competitivi che li contraddistinguono, sarebbe un grandissimo passo avanti. Allora potrei anche andare un giorno a sedermi ai loro tavoli. Inoltre mi faccio sempre questa domanda, riguardo alle proposte di McDonald’s: perché il vino viene discriminato? Con l’hamburger preferisco un calice di vino a un bicchierone di Coca cola annacquata.
Oggi il fenomeno degli hamburger di qualità sta prendendo molto piede in Italia.
Sono assolutamente favorevole a questa nuova tendenza. La prima hamburgeria italiana l’ho trovata proprio io a Rivoli, in provincia di Torino. Si faceva denominare “agrihamburgeria di qualità a filiera corta”. L’avevano chiamata MacBun, dove “bun” in dialetto torinese vuol dire “buono”. Poi McDonald’s li ha scomunicati e gli ha impedito di usare il loro prefisso così noto e allora l’hanno chiamato ironicamente M**Bun. Ma la loro fama non è cambiata, anzi. È uno slow fast food, la cura degli alimenti deriva innanzitutto dalla cura degli animali da cui proviene la carne. Non dobbiamo però pensare che l’hambuger sia qualcosa di americano. La svizzera, la carne macinata cotta nel sugo bianco o rosso, la polpetta fatta di avanzi come i mondeghini, sono tipici della nostra tradizione.
L’hamburger di qualità rientra in pieno diritto nella lista del cosiddetto “gastrofighettismo”. Il “gastrofighetto” segue ad esempio certi chef come se avessero arti divinatorie o il procedimento di alcune ricette della tradizione italiana in maniera più che rigorosa, sbava per il sale rosa dell’Himalaya o il lievito madre.
In questo “gastrofighettismo” c’è del buono se suggerisce la riscoperta del procedimento antico per impastare il pane e fare una pizza di un certo livello, buona in bocca e digeribile in un paio d’ore e non in una notte di sofferenza. Guarda caso i posti di culto della pizza attuali sono spesso in periferia, come Pizza da re a Verona, Pizzarium di Gabriele Bonci a Roma, che addirittura propone pizza al trancio, o Pizza Big a Milano. Esattamente il contrario del fighettismo.
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