
Il malato costa, cosa facciamo?

“È un piano inclinato. Hanno vinto loro”. Queste sono le parole che un amico mi ha detto questa mattina commentando il fatto che il consiglio regionale della Toscana ha approvato la legge di iniziativa popolare sul fine vita. Può essere vero. Può essere vero che, anche in assenza di una legislazione vera e propria e sulla scorta della famosa sentenza della Corte Costituzionale, si possa già accedere in Italia a forme di suicidio assistito o a forme atipiche di eutanasia (le chiamo così).
Ma ritengo importante ribadire – da politica, amministratrice, persona, malata – che è nostro compito continuare a fare di tutto per ribadire con forza che il suicidio non è la soluzione alla sofferenza. Dobbiamo fare in modo di non arrenderci all’affermazione falsa secondo cui “se il sofferente lo vuole, io non posso fare niente, è la sua libertà”. Il suicidio assistito non è una pratica medica.

Cultura mortifera
La cura fino alla fine naturale. Il sollievo dal dolore fino alla fine naturale. L’aiuto ai familiari fino alla fine naturale. Investire nei modelli di integrazione socio-sanitaria. Investire nelle cure palliative. Investire nelle nuove tecnologie per la cura e l’assistenza. Investire in ricerca. Facciamo in modo che il suicidio non diventi culturalmente un’opzione. Non posso insegnare ai miei figli che la morte procurata può essere presa in considerazione. Io non mi arrendo a questa cultura mortifera.
Perché, poi, accade come in altri paesi europei che, al raggiungimento di una certa età o in caso di disabilità, non è più possibile accedere alla cura, non ti visitano nemmeno e, se sei in ospedale, ti “staccano la spina”. It’s money, stupid!
Inoltre, dal mio osservatorio da amministratrice milanese, ritengo che anche le città abbiano un ruolo fondamentale nel garantire un sistema di cura inclusivo e accessibile. Sono il cuore pulsante di una rete che può promuovere politiche sanitarie e sociali più umane e attente al benessere di tutti, senza discriminazioni legate all’età o alla condizione fisica.
Primo baluardo all’indifferenza
Le amministrazioni locali possono farsi carico di offrire spazi sicuri e strutture di supporto, impegnandosi a rafforzare la rete di cure domiciliari e palliative. Possono, inoltre, facilitare la creazione di comunità che non solo assistano il malato, ma anche i suoi familiari, creando ambienti di solidarietà che combattono la solitudine.
Un’azione politica locale forte, con investimenti concreti, è essenziale per garantire che nessuno si senta abbandonato alla propria sofferenza.
Le città devono essere il primo baluardo contro l’indifferenza, il luogo dove la cura diventa una priorità, non una scelta economica.
* Deborah Giovanati è consigliere comunale di Forza Italia a Milano
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