Il Longanesi che amò Leopardi e che non tradì mai la promessa ricevuta

Cento anni fa nasceva Leo Longanesi. Chi l’ha conosciuto bene, come Piero Buscaroli, spiega che quel che muoveva il geniale editore, il politico rapido e curioso, era l’aspirazione a una identità italiana originale, che rimontasse dal mondo classico fino al presente senza esser plagio di roba altrui, né francese né americana. Il Fascismo sembrò promettere questo, e fu amato da molti, come scrisse Longanesi su l’Italiano, per quel che prometteva più che per quel che era. La vita come promessa era il sentimento che legava alcune di quelle intelligenze. Non a caso, il poeta che essi presero a rifemento, fino al punto di sognare che Mussolini si sarebbe fatto ispirare da quel poeta (!!!) era Leopardi. Sogno straordinario e dignitosissimo rispetto ad altri. Si trattava del Leopardi riscoperto dalla Ronda del querulo e grande Cardarelli, intabarrato nel suo cappotto in via Veneto anche d’estate, Quel Leopardi che aspirava nello Zibaldone all’adempimento di una medesima promessa di identità italiana.
Quella promessa non fu mantenuta dal Duce e nemeno dagli anti-fascisti ai quali Longanesi a differenza di quasi tutti gli intellettuali italiani, non s’unì mai. Per dignità, e per fedeltà a una promessa ricevuta dal sangue, dalla lingua, dalla bellezza e dall’amicizia.

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