
Il libero scambio non è il male del mondo. Anzi, può fargli un gran bene

Settimo articolo della serie di Bjørn Lomborg dedicata agli studi del Copenhagen Consensus su come la comunità internazionale può stabilire “Obiettivi di sviluppo sostenibile” davvero raggiungibili, a differenza dei velleitari 169 obiettivi fissati dall’Onu per il 2030. Le altre uscite della serie sono reperibili qui.
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Essere a favore del libero scambio è fuori moda. Nei paesi ricchi, gli si è attribuita la colpa delle perdite di posti di lavoro ed è stato quasi abbandonato dai politici. Durante il secolo scorso, il peso del commercio è cresciuto in termini percentuali sulla totalità dell’economia globale, ma questo trend ha raggiunto il picco intorno alla crisi finanziaria globale, e adesso è in declino. È una disdetta, perché garantire scambi più liberi si dimostra essere tra le migliori politiche di sviluppo del mondo.
È risaputo da secoli che il commercio fa aumentare i redditi, perché consente alle nazioni di specializzarsi e produrre quel che sanno fare meglio. Uno studio dimostra che il commercio ci rende tutti il 27 per cento più ricchi: significa che in media i paesi hanno redditi più alti di oltre un quarto rispetto a un mondo senza commercio.
Il libero scambio non eleva solo i redditi medi. Contribuisce anche a tirare fuori i poveri del mondo dalla miseria. Uno dei più citati tra gli studi recenti rivela che i redditi del 20 per cento più povero della popolazione crescono alla stessa velocità dei redditi medi.
Lo abbiamo visto chiaramente accadere nelle due nazioni più popolose del pianeta, Cina e India. Mentre il commercio della Cina si impennava, i redditi sono aumentati di sette volte e la quota di popolazione in condizioni di povertà estrema è diminuita dal 28 per cento a quasi zero. L’India ha assistito a una traiettoria simile, sebbene più lenta: mentre i dazi si riducevano da un soffocante 56 per cento nel 1990 al 6 per cento del 2020, i redditi medi sono aumentati di quasi quattro volte e la povertà estrema è scesa dal 22 all’1,8 per cento. Fenomeni simili si sono registrati in altri paesi cresciuti rapidamente come Corea del Sud, Cile e Vietnam. Davvero la prosperità che deriva dal libero scambio è condivisa.
Non stupisce dunque che il raggiungimento di scambi più liberi sia una delle promesse che i leader del mondo hanno sottoscritto nell’ambito dei cosiddetti Obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030 [Sustainable Development Goals, ndt]. Purtroppo, però, il mondo sta tradendo quella promessa, così come la maggior parte delle altre.
E il motivo non è certo un segreto. I leader hanno promesso qualunque cosa a chiunque, e così la lista degli impegni conta 169 obiettivi. Avere 169 priorità, però, è come non averne nessuna. La lista prevede una moltitudine di obiettivi cruciali come incrementare i commerci, sradicare la mortalità infantile, migliorare l’istruzione e mettere fine alla guerra e ai cambiamenti climatici. Ma nello stesso tempo comprende obiettivi lodevoli benché molto secondari come potenziare il riciclo, realizzare più parchi nelle città e promuovere stili di vita in armonia con la natura.
Quest’anno il mondo ha raggiunto la metà del tempo stabilito per gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, ma non siamo nemmeno lontanamente a metà del percorso. È chiaro che il mondo non può fare tutto, quindi è giunto il momento di identificare le promesse più cruciali e farne le nostre priorità. Il mio think tank, il Copenhagen Consensus, sta facendo proprio questo: in collaborazione con diversi premi Nobel e oltre cento economisti di massimo rilievo, abbiamo lavorato per anni all’individuazione delle aree in cui una spesa aggiuntiva può produrre il maggior beneficio.
Una nuova ricerca sottoposta a peer-review dimostra perché in cima all’agenda globale dovrebbe esserci l’aumento del commercio. La ricerca tiene in considerazione i problemi legati alla perdita di posti di lavoro su cui insistono i politici del mondo ricco. Traccia una mappa di quali costi aggiuntivi una maggiore libertà di scambio impone su questi lavoratori, facendogli perdere il posto, obbligandoli ad assorbire nuove competenze (spesso in vista di lavori pagati peggio) o spingendoli definitivamente fuori dal mondo del lavoro.
Ma lo studio rivela anche i vantaggi del libero scambio, come l’aumento dei redditi e i miglioramenti che ne conseguono per i poveri del mondo. Questo ci consente di soppesare tanto i costi quanto i benefici di una maggiore libertà di scambio. È una ricerca pionieristica perché rappresenta il primo tentativo di stabilire costi e benefici non solo a livello globale, ma per i ricchi e per i poveri del mondo.
Il modello economico dimostra che aumentando il commercio globale del 5 per cento, il costo attuale per tutti i lavoratori del mondo nel futuro sarebbe di mille miliardi di dollari. Un costo tale da giustificare le preoccupazioni dei politici populisti. Tuttavia, si è scoperto che i benefici per l’umanità varrebbero 11 mila miliardi, cosa che lo renderebbe un gran bell’affare per il mondo.
Le persone danneggiate dal libero scambio dovrebbero essere aiutate in misura maggiore dai governi di tutto il mondo, ma il significativo surplus derivante dal libero scambio non solo mette a disposizione una bella somma di denaro per farlo; rappresenta anche un’enorme opportunità di sviluppo per incrementare i redditi e tirare fuori le persone dalla povertà.
Il nuovo modello indica inoltre chi ne sosterrà i costi, e fa capire perché sono i paesi ricchi quelli che si sono raffreddati maggiormente sul libero scambio. Poiché i paesi ricchi costituiscono la fetta più grande dell’economia globale, essi guadagnerebbero il 60 per cento degli 11 mila miliardi. Ma graverebbe su di loro oltre il 90 per cento dei costi. E se questo giustifica alcune preoccupazioni politiche, tuttavia non coglie il quadro più generale: i paesi ricchi guadagnerebbero 7 dollari per ogni dollaro speso.
E ignora totalmente quale enorme opportunità è il commercio per la metà più povera del mondo. I costi per quest’ultima sarebbero minimi, pari a 15 miliardi di dollari, ma i benefici supererebbero ampiamente i mille miliardi di dollari. Per ogni dollaro di perdite, gli economisti hanno riscontrato il fenomenale valore di 95 dollari in benefici di lungo periodo, aumenti di reddito e riduzione della povertà.
Se intendiamo fare sul serio riguardo al progresso del mondo, non possiamo promettere tutto. Dobbiamo prima realizzare le politiche più efficienti, e un aumento del libero scambio si è rivelato essere uno dei modi più straordinari per garantire vite e redditi migliori.
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