«Il Libano riacquisti la sua sovranità». I cristiani alzano la voce

Di Giancarlo Giojelli
08 Ottobre 2024
L'Iran ha bloccato l'elezione del presidente, ma «noi vogliamo la convocazione del Parlamento e il rispetto delle risoluzioni Onu». Parla Elsy Oueiss, esponente del partito maronita Forze libanesi
Sud del Libano, 7 ottobre 2024 (Ansa)
Sud del Libano, 7 ottobre 2024 (Ansa)

Beirut. Un accordo era in vista per eleggere il presidente del Libano che – stando al patto costituzionale che regola la convivenza tra le 18 confessioni religiose del Libano, cinque delle quali cristiane e divide tra le loro le cariche della Stato – deve essere un cristiano maronita. C’erano stati incontri tra il presidente del Parlamento, lo sciita Nabih Berri, il capo del governo in proroga, il sunnita Najīb Mikati, e il leader druso Walid Jumblatt. Qualcosa sembrava muoversi dopo che, da tempo, Berri si rifiutava di convocare il parlamento e verificare se esistesse o meno una maggioranza. Poi è successo qualcosa: è arrivato in Libano il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, che ha detto che Teheran continuerà a sostenere la battaglia dei libanesi contro lo Stato sionista. Non a caso, dopo la sua visita, i colloqui tra i leader si sono fermati.

Tutto è di nuovo paralizzato, proprio quando molti speravano che l’emergenza costringesse la politica a votare in Parlamento. Una soluzione che avrebbe permesso al Libano di avere un presidente ed eleggere un governo che varasse le riforme necessarie per rinascere dopo la bancarotta. Nulla di tutto ciò sta avvenendo. Sulla ragione prevale la guerra.

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Cosa c’entriamo noi con Hamas?

Intanto cresce la rabbia tra i libanesi. Un sentimento sempre più evidente, chiaramente espresso in alcune zone, a maggioranza cristiana o sunnita, ostili alla Siria e all’Iran. Lo stesso sentimento è più celato nei quartieri di Beirut, dove comanda Amal, la milizia sciita di Berri legata a Damasco; è invece nascosto, molto nascosto, nella periferia Sud della città, roccaforte di Hezbollah che guarda a Teheran, e nel Sud del paese. Ma ovunque si sentono parole di rabbia, perché la guerra sta uccidendo l’ultima speranza.

«La rabbia è contro tutti quelli che hanno scatenato una guerra senza senso. Cosa c’entriamo noi con Hamas, con il 7 ottobre?», ci dice un profugo che dorme con la famiglia sulla Corniche, il lungomare di Beirut. Un altro gli grida: «Taci, Hezbollah difende il Libano e ci dà da vivere, non capisci?». Entrambi sono sciiti, fuggiti dal Sud. Litigano mentre, poco lontano, si vedono i bagliori dei bombardamenti israeliani che cercano nella banlieue i capi di Hezbollah e di Hamas (ormai sono pochi i sopravvissuti ai raid che hanno decimato gli stati maggiori delle milizie e delle formazioni militari).

Ma ora, a un anno esatto dalla guerra scatenata da Hezbollah per “impegnare” Israele e costringerlo a combattere su due fronti, i sentimenti stanno cambiando. I bombardamenti hanno provocato un milione di profughi. Il leader delle Forze libanesi, la formazione più forte tra i maroniti, Samir Geagea, si è astenuto da comunicazioni ufficiali: non c’è accordo con gli altri partiti cristiani sul nome del presidente. Hezbollah e Amal vorrebbero imporre Sulayman Farangiyye, ultimo erede di una delle più potenti famiglie cristiane che domina la città di Zgharta, nel Nord, amico della Siria e di Hezbollah, ma inviso agli altri partiti cristiani.

Il villaggio di Qamatiyeh a sudest di Beirut, Libano, 7 ottobre 2024 (Ansa)
Il villaggio di Qamatiyeh a sud est di Beirut, Libano, 7 ottobre 2024 (Ansa)

«L’Iran ha bloccato tutto»

Il patriarca Bechara Rai, nell’omelia di domenica scorsa, ha invitato a trovare una soluzione «inclusiva» per tutti i libanesi. Così ora i cristiani alzano la voce: «Vogliamo che Berri faccia quello che prevede la Costituzione», spiega a Tempi Elsy Oueiss, una giovane donna che guida i rapporti internazionali delle forze libanesi. Elsy è una donna energica, ingegnere civile, e lavora per una multinazionale che opera in tutto il mondo, considerata il simbolo del Libano che guarda al futuro e vuole tornare ad essere quel ponte tra Oriente e Occidente che l’aveva reso la “Svizzera del Medio Oriente”. «L’Iran ha bloccato tutto, ma i deputati dell’opposizione, non solo i cristiani, chiedono che venga convocato il Parlamento. Quello è il luogo dove discutere e votare: decide il Parlamento e noi applaudiremo chi sarà eletto. Nessuno può decidere prima. La guerra non può confiscare la sovranità dello Stato».

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«I cristiani chiedono il ripristino della Costituzione – aggiunge Elsy – e il rispetto totale delle risoluzioni dell’Onu, 1701 e 1559» . La prima, approvata l’11 agosto del 2006, imponeva la cessazione immediata delle ostilità tra Israele ed Hezbollah, l’invio di forze regolari libanesi al confine, il rafforzamento fino a 15 mila unità del contingente Onu, azioni immediate di sostegno alla popolazione, il ritiro delle forze Israeliane al di là della “linea blu”. E, soprattutto, ribadiva il rispetto dell’altra risoluzione, la 1559, approvata due anni prima che imponeva il disarmo di tutte le milizie, la consegna delle armi all’esercito regolare e il ritiro di ogni soldato straniero dal territorio libanese.

Di fatto, dopo vent’anni, Hezbollah, da milizia, si è trasformato un potente partito armato che dispone di arsenali e armi sofisticate. Un arsenale in parte distrutto nelle ultime settimane, dopo i raid che hanno decapitato la leadership e l’esplosione dei cercapersone che ne hanno distrutto i collegamenti. Ma le vere vittime della distruzione sono i libanesi che sempre più si sentono isolati, ostaggi di chi vuole la guerra contro Israele. Che risponde, come nel 2006, alzando il tiro. E questa volta sembra deciso ad annientare il pericolo.

L’esercito è forte abbastanza

«Non so cosa accadrà – ci dice Elsy -, se non verranno rispettate le risoluzioni. La comunità internazionale ha una grande responsabilità. Lo Stato deve avere la sua sovranità. A sud gli sciiti sono delusi, c’è rabbia anche fra di loro perché hanno visto che l’Iran li ha lasciati soli. La nostra priorità è mandare l’esercito regolare affinché assuma il controllo delle zone ora in mano ad Hezbollah. L’esercito è forte abbastanza per prendere il controllo del territorio. Dire che è troppo debole fa parte della retorica di Hezbollah. L’esercito è abbastanza forte, ma non c’è una decisione politica per prendere il controllo del sud».

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