
Il jihad antijihadista
Ai primi di giugno i soldati americani hanno liberato 41 prigionieri da un carcere di al Qaeda nei pressi di Baquba. Tutti civili iracheni, tutti con segni di sevizie sul corpo, alla vista degli americani hanno iniziato a piangere e a gridare di gioia. Gli americani hanno diffuso il manuale della tortura usato dai terroristi: mani trapanate, avambracci tranciati, corpi trascinati con le auto, bulbi oculari strappati, gente appesa per i piedi, frustate, scosse elettriche, crani schiacciati e così via. I seguaci di Osama Bin Laden avevano trasformato Baquba nella fornace del terrore takfir e l’avevano eletta capitale dell’autoproclamato “Stato islamico dell’Iraq”. In città, quel giorno, le donne si avvicinavano ai soldati con in mano le foto dei figli scomparsi, portati via dai terroristi, gli uomini piangevano, la vita sembrava persa. Al Qaeda ha promesso di trasformare la Mesopotamia, come ha annunciato l’emiro Abu Omar al Baghdadi, nella sua «università del terrore». E Baquba è stato l’esperimento più duraturo. Non a caso è qui che è stato ucciso il feroce jihadista giordano Abu Mussab al Zarqawi. Entrando in città, quel giorno di giugno, gli americani hanno trovato interi quartieri costretti a vivere sotto la sharia nella sua versione più buia e punitiva. Trecentomila musulmani schiavizzati da una legge marziale. Chiusi barbieri, caffetterie, negozi di musica e di abbigliamento. Una feroce pulizia etnica e religiosa aveva eliminato gli sciiti. Tutto quanto avesse a che fare con l’Occidente e non rispettasse i rigidi criteri del Corano, nel cuore di un paese tra i più avanzati del mondo arabo come è l’Iraq, era stato bandito. Per instaurare da subito un ordine pubblico fondato sull’interpretazione wahabita dell’islam, al Qaeda aveva istituito un tribunale religioso con annessa una stanza per le torture e una prigione artigianale. E poiché secondo il Corano tutto è islam, anche la vita pratica, lo “Stato islamico dell’Iraq” provvedeva anche al resto, dagli alimenti all’assitenza sanitaria, dalla burocrazia alle forniture di armi, fino alla tassazione. A Baquba c’era addirittura un “tribunale civile” con gli archivi dei certificati di matrimonio, delle compravendite e l’elenco aggiornato degli attentatori suicidi del quartiere.
Di fronte a questo e ad altri simili inferni orditi da al Qaeda in molte parti dell’Iraq, la popolazione sunnita, fino a ieri connivente con gli stragisti, si è rivoltata in massa. A sud di Baghdad, sulle rive dell’Eufrate, donne e bambini hanno cominciato a battere con canne di plastica contro i lampioni e altri oggetti di metallo per segnalare alle pattuglie miste americane-irachene che i terroristi stanno piazzando trappole esplosive o preparando altri tipi di imboscate. Un incessante ticchettio si allarga nell’aria, di casa in casa e di villaggio in villaggio. Come dice il generale Jim Huggins, «questa è gente che ne ha avuto abbastanza». Per oltre un anno la minaccia irachena contro al Qaeda ha avuto il volto affilato di Abdul Sattar Abu Risha. È lo sceicco fondatore dell’Anbar Salvation Council, una potente coalizione di tribù della provincia di Anbar che include almeno altri 200 sceicchi sunniti, la stessa tradizione religiosa degli attentatori suicidi, e che combatte contro i qaedisti una guerra senza ritorno. Risha decise di costituire il consiglio dopo che al Qaeda aveva assassinato suo padre e quattro suoi fratelli, l’autunno scorso. È stato ucciso a sua volta in settembre, pochi giorni dopo aver stretto la mano del presidente Bush in visita ad al Anbar. I terroristi lo avevano definito “cane crociato”. Ali Hattan al Suleiman, un altro sceicco dell’Anbar Salvation Council, dice che quelli di al Qaeda «vengono qui semplicemente pieni di soldi. Danno denaro ai disoccupati. Non sono iracheni, sono solo arabi. Sono dei bastardi. E gli iracheni che li seguono, anche loro sono dei bastardi». Gli sceicchi la chiamano “Anbar Intifada”, la lotta di Anbar contro l’oppressione di al Qaeda, la lotta dei musulmani contro i fratelli assassini.
Non si era mai visto nulla di simile nel mondo arabo-islamico. È la prima volta che i musulmani si ribellano a questa ordalia di schiavitù e barbarie. Il colonnello Mohammad, fra i primi a entrare a Ramadi, capitale di Anbar, dice che «gli irhabi (i terroristi, il termine che descrive in termini più accurati la realtà di quanto non faccia il nostro nobilitante “jihadisti”, ndr) chiamano se stessi “martiri”. Sono dei mentitori. Ho perso uno dei miei uomini, e quando gli ho levato il giubbotto antiproiettile, ecco, quello era il sangue di un martire».
La fatwa congiunta con gli sciiti
«Ai leader del Risveglio e a coloro che vi sono coinvolti: morirete». Abu al Abd ha raccolto questo volantino di al Qaeda nel quartiere di al Amiriya, a Baghdad. Era rivolto ai sunniti che hanno aderito alla sommossa antiterroristica, che in arabo si chiama appunto Sahwa, il risveglio. Abu al Abd, il cui vero nome è Saad Arabi al Obeidi, è un ex ufficiale dell’esercito iracheno sotto il regime di Saddam Hussein. Oggi guida le milizie tribali sunnite note come Cavalieri della terra dei due fiumi (Firsan al Rafidan), che a Baghdad hanno permesso al 70 per cento delle famiglie sciite di al Amiriya di rientrare nelle loro case. Una mattina Obeidi è stato avvicinato dai miliziani di al Qaeda, che lo hanno minacciato. «State distruggendo Amariya. Smettila o ti uccideremo». Sono circa 70 mila i cittadini entrati a far parte dei 148 movimenti di resistenza ad al Qaeda. Il Los Angeles Times riferisce che fino alla scorsa estate non c’erano formazioni miste sunniti-sciiti nella guerra ad al Qaeda. Oggi ce ne sono almeno 18 e ne fanno parte 15 mila iracheni. «Diamo il benvenuto ai nostri orgogliosi sceicchi, abbasso il terrore», recita una bandiera che sventola a Ramadi, dove è volato anche il premier sciita, Nouri al Maliki, che non vi tornava dal 1976, cioè da quando Saddam lo costrinse all’esilio dopo aver assassinato centinaia di compagni di partito. «Questi musulmani stanno rischiando le loro vite, non è una questione economica», dice il generale David Petraeus. Nella provincia di al Anbar, secondo l’ambasciatore americano Crocker, «la gente si sente sollevata». Insomma, il progetto qaedista di realizzare lo “Stato islamico dell’Iraq” è fallito, e gli iracheni tornano a vivere, pur se faticosamente e lentamente.
La “Intifada sunnita” è scoppiata il 21 agosto del 2006, quando lo sceicco Abu Ali Jassim fu trucidato da al Qaeda. Invece di riconsegnare il corpo, i terroristi lo hanno nascosto in un campo, violando i princìpi basilari della religione islamica che impongono la rapida sepoltura. I sunniti non li hanno mai perdonati. Mentre la bara di Abu Risha veniva portata al cimitero, i musulmani che seguivano il corteo scandivano a loro modo la prima sura del Corano, cantando: «Non c’è altro Dio all’infuori di Allah e al Qaeda è il nemico di Allah». Con la nascita del Council of Iraqi Scholars, i sunniti hanno ufficialmente riformato in chiave antiqaedista perfino la propria struttura ecclesiastica. A capo del Council c’è lo sceicco Abdul Malik al Saadi, il quale ripete che «chi uccide deve andare all’inferno». I sunniti, poi, hanno anche promulgato la loro prima fatwa congiunta con gli sciiti. Contro al Qaeda, naturalmente. Ne sono protagonisti l’ayatollah sciita Ali al Sistani e lo sceicco sunnita Ahmed al Kubaisi, i cui sermoni sono seguiti da oltre 20 milioni di islamici e che ha firmato la “lettera dei 138” ai cristiani. «Secondo la nostra fede uccidere esseri umani in nome di Dio è una dissacrazione delle leggi del Paradiso e diffama la religione, non solo in Iraq, ma in tutto il mondo», recita l’editto.
Sarà guerra «fino all’ultimo figlio»
La nuova tecnica adottata in Iraq dalla fabbrica oscurantista di al Qaeda è lo stordimento dei bambini e il loro impiego in azioni suicide. L’ultimo aveva 10 anni. I sunniti hanno risposto facendo marciare decine di ragazzini a Baghdad per commemorare lo sceicco Abu Risha, il “leone di Anbar” che contro al Qaeda aveva promesso una guerra «fino all’ultimo figlio». Come spiega lo studioso australiano David Kilcullen, architetto della strategia tribale in Iraq, «tutto è iniziato con le donne. Una delle tecniche di al Qaeda, che ho visto applicata in Somalia, Pakistan, Afghanistan e Indonesia, è sposare le figlie dei leader dei clan. Così al Quaeda crea legami con le comunità. Ma in Iraq i seguaci di Bin Laden hanno ucciso gli sceicchi che si sono rifiutati di dare loro in matrimonio le proprie figlie. Questo ha dato origine all’obbligo della vendetta, tha’r. In più i leader tribali vedono i benefici che altre tribù hanno raggiunto rivoltandosi contro i terroristi. Bisogna ricordare che la rivolta appartiene agli iracheni, non a noi. È stata una loro idea, loro hanno iniziato».
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