
Il governo fa decidere al Tar la politica sull’immigrazione

Articolo tratto dal numero di settembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
C’è un dato di sistema, che emerge dalla vicenda che ha visto coinvolti la Regione siciliana, il governo nazionale e il Tar di Palermo. I fatti sono noti: il 22 agosto il presidente Nello Musumeci ha adottato un’ordinanza con la quale, al fine di prevenire il contagio da Covid-19, ha disposto che entro la mezzanotte del 24 i migranti presenti negli hotspot e nei centri di accoglienza dell’isola fossero ricollocati in altre strutture fuori dal territorio della Regione siciliana e, in assenza di strutture di accoglienza adeguate, ha vietato l’ingresso nel territorio regionale dei migranti che raggiungessero le coste dell’isola. Il 26 agosto il governo ha impugnato l’ordinanza al Tar per la Sicilia e ha chiesto misure cautelari monocratiche. Il 27 il presidente del Tar, con proprio decreto, ha sospeso l’esecutività dell’ordinanza impugnata.
Il periodo di efficacia dell’ordinanza regionale era dal 23 agosto al 10 settembre. Il ricorso del governo su di essa:
a. è stato deciso da un unico magistrato amministrativo, in via cautelare,
b. senza sentire la Regione,
c. disponendo che il seguito della trattazione da parte del Tar nella sua composizione collegiale avvenga il 17 settembre.
Il 17 settembre la Regione non avrà più interesse al contenzioso su un proprio atto efficace fino al 10: e questo significa che di fatto una vicenda di tale peso istituzionale, politico e sociale ha trovato il suo esito definitivo nel decreto di un unico giudice, che ha deciso in poche ore senza attivare un contraddittorio, neanche informale.
Non è la prima volta: il 14 agosto 2019 il presidente del Tar del Lazio accolse, con un decreto egualmente monocratico e senza contraddittorio, il ricorso promosso dalla Ong Open Arms contro il provvedimento del 1° agosto 2019 del governo dell’epoca – il Conte 1 – di divieto di ingresso, transito e sosta della nave Open Arms nel mare territoriale nazionale, e con ciò di fatto autorizzò lo sbarco in Italia; poiché fissò la trattazione collegiale per il 9 settembre successivo, anche in quel caso fini lì, perché non vi fu più interesse alla prosecuzione del processo amministrativo.
Perché la questione è di sistema e non va catalogata, a secondo di come la si affronta e degli esiti che ha, “di destra” o “di sinistra”? Perché ogni governo centrale, qualunque colore abbia la maggioranza che lo sostiene, dovrebbe tenere alla piena assunzione e all’esercizio delle responsabilità politiche e istituzionali collegate a nodi così complessi; e non dovrebbe delegarne la soluzione, nemmeno in via provvisoria, all’autorità giudiziaria.
Da tempo una delle voci di crisi del sistema democratico è lo sconfinamento della giurisdizione in ambiti attribuiti ad altri poteri dello Stato: uno sconfinamento teorizzato prima ancora di essere praticato. Giustificato dall’assioma secondo cui, mentre le istituzioni rappresentative sono poco adeguate alla risoluzione dei conflitti, perché divise al loro interno – trascurando che la dialettica e il confronto fra posizioni differenti costituiscono la sostanza della democrazia –, il procedimento giudiziario garantirebbe l’asetticità e la neutralità delle decisioni. Accompagnato dall’altro assioma, secondo cui la frequente confusione e sovrapposizione delle norme non impone necessariamente una più accurata ricerca dell’articolo di legge da applicare nel caso concreto: talora è preferibile quell’esegesi creativa che va oltre lo stretto dettato legislativo.
Tali assiomi si infrangono quotidianamente con la realtà: è inevitabile che un giudice che adotti provvedimenti ad elevato tasso di discrezionalità politica riversi negli atti i propri condizionamenti in senso lato culturali, se non ideologici. Ancor di più se – come è accaduto col decreto del Tar Sicilia del 27 agosto – quel giudice opera in solitudine, rifiuta il contraddittorio attivabile perfino nella fase cautelare monocratica, ed è consapevole che quanto deciderà sarà di fatto definitivo, benché formalmente provvisorio, per la materia sulla quale interviene.
Rivolgendosi al Tar invece che concordare una linea con la Regione Sicilia, il governo centrale ha puntato a ottenere ragione nell’immediato. Ma alla fine la partita è senza vincitori, se l’esito è per l’ennesima volta l’assunzione di fatto di responsabilità politica da parte di un giudice amministrativo: in danno dell’equilibrio di poteri del nostro ordinamento costituzionale.
Foto Ansa
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