Il golpe sventato in Turchia visto da una stagista italiana ad Ankara

Di Sabrina Sergi
15 Luglio 2017
Il 15 luglio 2016 ero ad Ankara, con amici, a due isolati dal cuore della città. Era venerdì e, mentre sorseggiavamo del çay, sulla strada che porta verso il centro si sono materializzati due carri armati
epa04533633 Supporters of the Hizmet movement of US-based Islamic cleric Fethullah Gulen shout slogans as they wave Turkish flags outside a courthouse in Istanbul, Turkey 18 December 2014. A Turkish prosecutor on 16 December formally dropped all charges against government officials stemming from a high-profile corruption investigation that exploded into the headlines last December. The corruption investigation forced four ministers to resign and threatened the stability of the government. Then prime minister Erdogan blamed the investigation on a so-called parallel state, which he claims is run by US-based Islamic cleric Fethullah Gulen. EPA/TOLGA BOZOGLU

epa04533633 Supporters of the Hizmet movement of US-based Islamic cleric Fethullah Gulen shout slogans as they wave Turkish flags outside a courthouse in Istanbul, Turkey 18 December 2014. A Turkish prosecutor on 16 December formally dropped all charges against government officials stemming from a high-profile corruption investigation that exploded into the headlines last December. The corruption investigation forced four ministers to resign and threatened the stability of the government. Then prime minister Erdogan blamed the investigation on a so-called parallel state, which he claims is run by US-based Islamic cleric Fethullah Gulen.  EPA/TOLGA BOZOGLU

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Nel giugno 2016 mi sono trasferita in Turchia per svolgere uno stage europeo di sei mesi. Il 15 luglio 2016 ero ad Ankara, con amici, a due isolati da Kızılay, il cuore della città. Era un afoso venerdì e, mentre sorseggiavamo del çay, sulla strada che porta verso il centro si sono materializzati due carri armati. Erano le 23, la mia famiglia mi chiamava allarmata dall’Italia: in tv parlavano di un colpo di Stato. Gli amici turchi sorridevano, rassicurandomi che si sarebbe concluso tutto in poche ore. «Questa è la normalità, in Turchia», ripetevano.

Tuttavia, mezz’ora più tardi, eravamo chiusi in casa, con la scorta di cibo, acqua e sigarette. Seguivamo l’evoluzione del golpe via internet, che non ha mai smesso di funzionare. Fuori, il rombo degli F16 e quello causato dalla deflagrazione delle bombe si mescolavano alle sirene e alla voce dei muezzin, mobilitati per una chiamata alla preghiera straordinaria. Dai minareti, infatti, i cittadini erano invitati a scendere in strada per sostenere la democrazia di Recep Tayyip Erdogan. Non succedeva dai tempi dell’Impero, quando le moschee si attivavano a sostegno del sultano contro le ribellioni dei giannizzeri. I miei amici temevano che i militari avrebbero imposto la legge marziale. Ma quando Erdogan ha fatto ritorno ad Ankara, accolto all’aeroporto da una folla di sostenitori, sembrava che tutto fosse tornato alla normalità.

In effetti, due giorni dopo ero già in ufficio, tuttavia i colleghi erano tesi ed eludevano l’argomento golpe. Le prime ondate di epurazioni avevano colpito le università, e il governo aveva imposto la sospensione delle ferie e il divieto di espatrio agli impiegati per i due mesi successivi. Con gli studenti del campus, invece, riuscivo a discutere riguardo all’accaduto. Curiosamente, abbassavano il tono della voce quando si nominava il principale accusato, Fetullah Gülen, che taluni si divertivano a paragonare a Voldemort, il cattivo di Harry Potter. Alcuni sostenevano la tesi governativa, accusando gli Stati Uniti di aver orchestrato il piano e di aver manovrato Gülen come un cavallo di Troia nello Stato turco. Altri, invece, sospettavano che ci fosse Erdogan stesso dietro il golpe, visto che lo avrebbe avvantaggiato.

La mia vicina di stanza in lacrime
Nelle settimane successive sono seguite massicce ondate di arresti. Vista la mia preoccupazione, mi è stato spiegato che chi non aveva legami con Gülen non aveva nulla da temere. Eppure una sera di settembre, di ritorno nella stanza del dormitorio dove alloggiavo, ho trovato la mia vicina, una giovane ricercatrice presso la facoltà di Scienze politiche, in lacrime. Mi spiegò che il governo, per effetto dello stato di emergenza, aveva deciso di trasferire alcuni ricercatori da atenei prestigiosi a istituti minori in provincia. Mi giurò, disperata, di non avere nulla a che fare con la confraternita di Gülen. In realtà, nella Turchia post-golpe, le accuse di gulenismo o di terrorismo sono diventate il pretesto perfetto per giustificare gli abusi di un potere sempre più soffocante.

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Foto Ansa

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