
Il genio di Mimmi Cassola, l’amica di don Giussani che mi fece conoscere Péguy

Il mio primo ricordo di Mimmi (Maria Dina) Cassola risale ai primi anni del liceo. Avevo acquistato (nella sede di Gioventù studentesca?) un piccolo quaderno, con la copertina rossa, una edizione pro manuscripto di alcuni brani de Il mistero dei santi innocenti di Charles Péguy con la traduzione a fronte di Mimmi Cassola. Il primo incontro con lei coincise con la mia prima conoscenza di Péguy e viceversa. Autore che cominciai così a leggere, aiutato anche da un libretto di Claudio Scarpati, che don Giussani fece scrivere all’allievo di Mario Apollonio, poi docente di Letteratura italiana in Università Cattolica a Milano. Le due pubblicazioni dovrebbero essere ancora nella biblioteca del seminario della Fraternità San Carlo, a Roma.
Fu poi Dina Agarinis (la ragazza dal cappotto arancione del mio romanzo Nella luce dell’inizio) a farmi conoscere di persona Mimmi. Erano amiche. Una sera Dina preparò per me una cena cinese. Mimmi prese un foglio e cominciò a disegnare un bellissimo e folle ristorante cinese. Era una pittrice di paesaggi toscani. Alcuni suoi quadri me li regalò e ora sono a Roma. Ci sono i pini maremmani, ma anche il lago di Castel Gandolfo. Perché Mimmi fu, per un breve tempo, postulante presso le Piccole Suore dell’Assunzione che avevano una casa a Genzano.
Io abitavo ancora a Milano. Scesi a Roma a trovarla. Era malata, di una stupida influenza. Mi disegnò dal letto un bicchiere con la medicina. Aveva un gusto meraviglioso per le cose, di cui fotografava con lo sguardo l’unicità: una pietra, una conchiglia, un fiore, un libro… Era una grandissima fotografa. Speriamo si possa fare una mostra dei suoi scatti più riusciti.
Nella sua casa di San Miniato, accanto a una foto di don Giussani (non ricordo di averle chiesto se fosse opera sua) c’era una piccola foto di madre Therese, la Provinciale delle Suore dell’Assunzione, che Mimmi amava tanto.
Oltre a Péguy (chi può valutare il peso enorme che ha avuto Mimmi nella cultura italiana per le sue traduzioni? E nei cuori di migliaia di giovani?) furono i suoi 17 romanzi ad avvicinarmi a lei. Li conservo uno per uno, con una sua dedica. Anche se gli ultimi, la trilogia, sono i più ponderosi – la storia della sua famiglia –, penso che il suo capolavoro sia Alato, un testo surreale: nel nostro tempo per essere realisti occorre essere surreali. Solo una creatura a cui spuntano le ali può veramente vivere.
Mimmi era una donna originalissima, difficile da descrivere. Lieta e drammatica assieme, geniale (di quei geni che Giussani attraeva a sé quasi senza accorgersene, ma con cui aveva poi un rapporto intensissimo) e perciò destinata a una certa solitudine.
Dalla sua meravigliosa villa si vedeva Firenze, con la cupola del Brunelleschi: fuori la luce radente tra i pini, i cipressi e gli altri tipi di vegetazione, dentro, in casa, centinaia di oggetti, un’abitazione vissuta, non disordinata.
Il rapporto con don Giussani meriterebbe un capitolo a sé che io non posso scrivere perché è racchiuso nei cuori. Forse le lettere ci potranno restituire qualcosa.
Quando sono diventato vescovo, Mimmi mi ha regalato un piccolo busto in terracotta di san Francesco, opera di un importante scultore, che è qui con me a Luino. Anni prima mi aveva donato una copia minuscola della Bibbia di Gerusalemme, in francese. Era di don Giussani, lui l’aveva regalata a lei e lei a me. Nel frontespizio aveva scritto: «Nella gioia del Natale. Gius».
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