
«Il delitto resta fuori». Apac, le carceri brasiliane che funzionano

Una sessantina di vittime, di cui sei decapitate e alcune bruciate. Questo il bilancio della rivolta scoppiata nel carcere brasiliano Anísio Jobim di Manaus i primi giorni di gennaio. Sergio Fontes, locale segretario di Pubblica sicurezza, lo ha definito «il maggior massacro del sistema carcerario di Amazonas». Dopo diciassette ore di battaglia gli agenti sono riusciti ad avere la meglio, ma molti carcerati sono riusciti a fuggire.
MODELLO APAC. L’Anísio Jobim è uno dei penitenziari più duri del paese. Come ha ricordato ieri su Avvenire Giampaolo Silvestri, segretario generale Avsi, ha «un tasso di sovraffollamento di quasi il 200 per cento, percentuale diffusa in molte altre carceri in un Paese che conta la quarta popolazione carceraria del mondo, 600 mila detenuti, dei quali quasi 250 mila in attesa di giudizio». Silvestri ha però giustamente ricordato che nel paese esiste un altro modello di detenzione. Si tratta degli Apac (Associação de Proteção e Assistência aos Condenados), le carceri dove le guardie non sono armate. Tempi vi ha parlato spesso di quest’esperienza, anche con un reportage sul campo di Rodolfo Casadei (che potete leggere qui)
IL DELITTO RESTA FUORI. Il modo migliore per ottenere risultati è trattare i condannati come uomini. Uomini che hanno sbagliato, che devono scontare la propria pena, certo, ma uomini, non bestie. Anche perché, chi viene trattato da bestia, al termine della pena, uscito, tornerà facilmente a delinquere. Lo dice il buon senso e lo confermano i numeri. La recidiva nelle carceri brasiliane è dell’80 per cento, negli Apac del 20. Il costo di costruzione di un posto/persona è un terzo del costo del carcere comune, e quello di mantenimento è dimezzato.
Come raccontato nel reportage di Tempi, su una delle pareti di questi penitenziari sta scritto il motto più noto degli Apac: «Aqui entra o homem o delito fica lá fora». Cioè «Qui entra l’uomo, il delitto resta fuori».
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