
Il crocefisso di Pigi Bernareggi

Caro direttore, la morte di un amico grande nella fede, come nel caso di don Pigi Bernareggi fa sempre ripensare alla sua vita e fa ripensare anche alla vita delle persone a lui più vicine come Rosetta. Questo è naturale, ma a ben pensare è come entrare negli spazi della sua dimora.
È il permanere in questa dimora che ha definito la forma della sua vocazione! Anche i tratti che ci suggerisce Julian Carron nella sua lettera sulla vita di Pigi e l’appassionante ritratto che ha fatto Peppino Zola sulle pagine del suo giornale, ricordano l’impeto di don Pigi per quel Mistero che è entrato come un uragano al liceo Berchet e lo ha affascinato.
L’amico Marquinho di Belo Horizonte – ove ho vissuto per 15 anni – mi ha inviato tre fotografie che non lo ritraggono, ma descrivono tutta la sua vita: il crocefisso che aveva in camera sua così essenziale al punto che in alcuni tratti rimane solo la struttura in ferro che sosteneva le braccia e parte delle gambe; la “sua” frase di san Cipriano scritta – ancora ultimamente – di suo pugno sulla lavagna della casa di riposo ove viveva – «Nada absolutamente antepor a Cristo»- e sotto la quale aveva posto una scultura in legno del volto di Cristo realizzato da un artigiano suo amico; la terra di riporto dello scavo della sua sepoltura in un cimitero semplicissimo (in Brasile anche i cimiteri sono privati e pertanto ne esistono anche per poveri), con poche piccole lapidi (le lastre tombali costano e quindi non si usano) sparse in un prato che ha come sfondo la sua favela ed il grande cielo dei tropici.
Povero perché Cristo è l’essenziale; con la sua gente (povera) come segno della fedeltà di Dio nelle prove, come documentazione vivente della salvezza agli occhi di coloro per i quali la sofferenza ne è giudizio permanete, per vivere con loro il senso del dolore che è rendere evidente che la nostra vita sarà giudicata. Giustamente l’amico mi ricordava la frase di una famosa canzone popolare brasiliana dal titolo “Ave Maria no Morro” (morro è sinonimo di favela per le città attorniate da colline come Rio de Janeiro e Belo Horizonte) che dice: Barracão sem pintura, lá no morro …. jà vive pertinho do céu – Baracca senza finitura, la sul morro … si vive vicinissimi al cielo.
E nel ripensare a Pigi non posso dimenticare quanto faticoso sia stato il suo permanere nella dimora. L’abbandono di coloro che sono andati in Brasile con lui, la solitudine di quegli anni sostenuta dalla vicinanza della Rosetta e di pochi altri e dalla presenza di don Giussani con le sue lettere, il pensiero che – agli inizi degli anni 90 – il movimento in Brasile non avesse la stessa direzione e lo stesso impeto di GS. Ma anche – tra i pochi fatti che conosco – l’incontro con Carron nella sua prima visita in Brasile e l’emblematica consegna dei suoi appunti degli inizi di GS a Milano alla casa dei Memores Domini di Belo Horizonte come il luogo adeguato per conservarli. Quest’ultimo segno della riconferma quotidiana della dimora rende l’istante permanete perché, se è vero – come dice lo stesso Pigi in una lettera a Rosetta – che «noi non viviamo nel passato, che è già passato, non viviamo nel futuro, che non è ancora arrivato ma viviamo in questo istante presente che sta passando, e in un batter d’occhio è già passato», è vero anche che la libertà di Dio rende l’istante eterno ed il moto della mia libertà lo rende degno di memoria definitiva.
Per la permanenza in questa dimora Pigi è stato un costruttore poiché il mistero diventa urgenza nella vita, cioè necessità di vedere tutto con gli occhi dell’incontro. L’associazionismo dei movimenti pro-favela è nato attorno a lui che ha volutamente ed insistentemente cercato di non anteporre nulla a Cristo (altro che teologia della liberazione che si formava in quegli anni, o rivoluzione politica del Partido dos Trabalhadores). La condivisione è diventata così desiderio missionario e intelligenza di risposta anche per coloro che hanno desiderato di vivere con questa dimensione l’avventura che ha investito anche noi.
Enrico Novara
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