
Il Covid come Piazza Tienanmen: la Cina falsifica i libri di storia

Dopo aver sottoposto la popolazione a ogni tipo di sopruso e repressione per tre anni con la scusa del Covid-19, per poi abbandonarla senza difese alla mercé del virus, il Partito comunista cinese vuole convincere i giovani di aver fatto un ottimo lavoro. Lo si può desumere dal paragrafo dedicato alla recente pandemia che è già stato inserito nei libri di testo scolastici di storia della Cina.
La Cina falsifica la storia sul Covid
Il 24 aprile un utente di Tianjin – verosimilmente un professore di storia o un genitore – ha pubblicato sul social media Douyin una pagina della nuova versione del libro di storia per i ragazzi delle medie (13 anni) edita dalla statale People’s Education Press, commentando: «Ciao a tutti, sono il signor Song Chao e ho realizzato questo video. Siamo tutti testimoni della Storia».
A pagina 98 del libro, nella sezione dedicata ai “Cambiamenti nella vita della società”, sotto il titoletto “Eventi storici correlati”, si legge quanto segue a proposito della pandemia di Covid-19:
«All’inizio del 2020 è esplosa all’improvviso un’epidemia di Covid-19. Il nostro paese ha messo al primo posto il popolo e la vita, lanciando una guerra popolare contro l’epidemia, una guerra generale. La guerra ha protetto in larga misura la sicurezza, la vita e la salute della gente e ha raggiunto grandi risultati positivi nel coordinare la prevenzione e il controllo dell’epidemia con lo sviluppo economico e sociale. Ha creato un grande spirito anti-epidemico che ha messo la vita delle persone prima di tutto, unendo l’intero paese nel rispetto della scienza».
Il Covid come Piazza Tienanmen
Il paragrafo, che è stato visionato anche dalla Bbc e che ha fatto infuriare gli utenti cinesi, è la summa di tutto ciò che il regime comunista cinese non ha fatto durante la pandemia. Non stupisce perciò che ora il governo cerchi di indottrinare i giovani nel tentativo di far sparire dalla memoria gli errori commessi, proprio come accade con il massacro di Piazza Tienanmen, che viene relegato a «incidente» o censurato del tutto.
Ma cancellare tre anni di soprusi non sarà facile neanche per la dittatura più avanzata del mondo dal punto di vista tecnologico.
Così il regime comunista ha «protetto il popolo»
I cinesi infatti sanno bene che la pandemia non è scoppiata «all’improvviso» all’inizio del 2020, ma già a dicembre del 2019 alcuni medici, come Ai Fen e Li Wenliang, si erano accorti dell’esistenza di un virus che si diffondeva pericolosamente tra la popolazione di Wuhan. Entrambi cercarono di prendere provvedimenti, ma le autorità del Partito comunista glielo impedirono con le minacce, intimandogli il silenzio.
La Cina inoltre non ha «messo al primo posto il popolo e la vita», ha piuttosto instaurato il controllo onnipervasivo della popolazione privandola dei suoi più basilari diritti attraverso i lockdown e gestendola attraverso modernissime app.
Impedire a chiunque di uscire di casa, anche in presenza di incendi e terremoti; murare letteralmente nelle abitazioni i positivi al virus (quanti sono morti di fame o perché rimasti senza medicine?); separare forzatamente i genitori dai figli (in almeno un caso un ragazzo è morto da solo in casa per assenza di cure) rinchiudendoli in fatiscenti centri per la quarantena; obbligare ogni singolo cittadino (neonati compresi) ad effettuare un tampone tutti i giorni; bloccare la vita di intere città per mesi senza alcun preavviso riducendo alla miseria un numero enorme di residenti rimasti senza lavoro; arrestare o picchiare coloro che si azzardavano a criticare online il governo per le angherie subite; erigere barriere fisiche con tanto di filo spinato per separare i quartieri infetti da quelli “puliti” non è un modo per «proteggere il popolo» ma per soggiogarlo.
La scienza al servizio dell’ideologia in Cina
Per quanto riguarda la scienza, il governo di Xi Jinping non ha fatto altro che piegarla alla sua ideologia. Così, prima ha fatto credere al mondo intero (teoria ripetuta perfino dall’Oms) che il virus non poteva trasmettersi da persona a persona, poi ha assicurato che il Covid-19 poteva essere debellato con l’isolamento, arrivando alla follia di rinchiudere in casa i 25 milioni di abitanti di Shanghai per 65 giorni a fronte di 20 mila casi positivi, lo 0,08% circa della popolazione.
Infine, dopo il Congresso di ottobre, durante il quale Xi Jinping è riuscito a conquistare il potere assoluto come ai tempi di Mao Zedong, per arginare le proteste della popolazione stremata dalla politica “zero Covid”, la Cina ha dichiarato da un giorno all’altro di aver «sconfitto» il virus, eliminando ogni restrizione, lasciando che il Covid si diffondesse indisturbato in una popolazione non vaccinata e non esposta al virus per tre anni, causando secondo alcune stime fino a un milione di morti.
Le ultime parole di Li Wenliang
Davanti a un simile disastro, il regime di Xi Jinping non può fare altro che falsificare la storia e indottrinare i giovani: l’alternativa sarebbe riconoscere non solo l’incompetenza del governo nel gestire il Covid-19, ma anche ammettere che la pandemia è stata aggravata dal regime stesso.
È Li Wenliang che dovrebbe finire sui libri di storia in Cina. Alcune delle sue ultime parole, prima di morire di Covid, andrebbero scolpite sulla pietra: «Penso che in una società sana dovrebbe esserci più di una voce sola». Fino a quando, però, l’unica voce ammessa nel pase sarà quella del dittatore Xi Jinping sui libri di storia ci sarà scritto che la Cina «ha ottenuto una vittoria decisiva contro la pandemia».
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1 commento
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Niente di strano che una cosa simile possa capitare anche coi libri di storia italiani.
Sulle inchieste giornalistiche della trasmissione televisiva Fuori dal coro neanche un rigo?
Sarebbe interessante una verifica di ciò che trasmettono e magari capire perché di certi documenti, email, comunicazioni, grafici etc ne parla solo il signor Mario Giordano.