
Il “cortile di casa” di Mosca è in America Latina

La guerra in Ucraina si fa sentire anche in America latina dove da tempo il messaggio di Mosca agli Stati Uniti è chiaro: se voi interferite nel mio “cortile di casa”, ovvero gli stati dell’ex Urss, io interferirò sempre di più nel vostro. L’ingerenza russa in questa parte di mondo oggi è davvero forte anche dal punto di vista militare e dell’intelligence, soprattutto in quattro paesi della regione, ovvero Bolivia, Nicaragua, Venezuela e Cuba.
Spie e armi. È questo il mix esplosivo con cui la Russia sta invadendo il continente latinoamericano che da qualche anno si è trasformato nel “cortile” dove Mosca sfida le sanzioni di Bruxelles e Washington ma, soprattutto, sfida la storica egemonia in loco degli Stati Uniti. Del resto fin dagli anni Novanta era stato proprio il Cremlino a teorizzare un nuovo ordine geopolitico, ovvero un mondo multipolare dove ad avere potere fossero paesi non allineati con gli Usa. Dopo 30 anni l’America Latina si rivela adesso cruciale per questo progetto.
L’appoggio della Bolivia
In Bolivia, ad esempio, il Cremlino ha iniziato da sei mesi la costruzione di un reattore nucleare nella città dormitorio di El Alto, a due passi dall’aeroporto internazionale che sovrasta la capitale La Paz. E per comprendere da che parte stia la Bolivia, basta ascoltare le parole pronunciate da Evo Morales, il vero deus ex machina del paese andino, anche se il presidente è Luis Arce, suo ex ministro dell’Economia. Al canale statale Russia Tv, giovedì sera Morales ha dichiarato infatti che «sostenere che la Russia ha invaso l’Ucraina è totalmente sbagliato, gli interventisti sono gli Usa con la Nato», aggiungendo che «i media che rispondono all’imperialismo e al capitalismo sono peggio della bomba atomica».
Insomma, se la Bolivia si è solo astenuta nel voto all’Onu contro la guerra in Ucraina due giorni fa, non votando con la Russia, è solo perché ha in ballo un finanziamento miliardario con il Fondo Monetario Internazionale, dove sarà decisivo proprio l’ok degli Stati Uniti, che detengono la maggior parte dei voti nell’Fmi.
L’ex blocco sovietico
I paesi dove la Russia ha venduto più armi negli ultimi dieci anni sono quelli dell’ex blocco dell’Unione Sovietica, Cuba e Nicaragua in testa, a cui si è aggiunto il Venezuela dopo l’avvento del chavismo. Questo blocco filorusso è oggi molto utile a Putin nel perseguire la sua strategia di tensione con il membro fondatore della Nato, gli Stati Uniti.
Lo dimostra la visita a Cuba del presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, arrivato poi anche a Managua il 24 febbraio scorso, a guerra già iniziata, per incontrare il presidente nicaraguense Daniel Ortega. Volodin ha difeso in Parlamento, applaudissimo, l’invasione della Russia come una «operazione di pacificazione».
Una settimana prima Yuri Borisov, vice primo ministro russo, era volato a Managua, rafforzando ulteriormente la cooperazione militare e tecnologica con il governo di Ortega. Oggi quasi 400 militari russi sono presenti in Nicaragua con il pretesto di esercitazioni militari congiunte.
“Made in Russia”
A gennaio sono invece arrivati in Venezuela 68 tecnici e consiglieri militari russi per la manutenzione dei cacciabombardieri Sukhoi Su-30, mentre il presidente del paese sudamericano Nicolás Maduro mobilitava carri armati e unità di artiglieria “made in Russia” al confine colombiano.
Il ministro della Difesa di Bogotá Diego Molano ha definito il dispiegamento russo “interferenza straniera”, facendo anche riferimento ad effettivi del Gruppo Wagner, un’organizzazione paramilitare russa indipendente affiliata al Ministero della Difesa russo e alla Direzione principale di intelligence delle forze armate della Federazione Russa, il GRU.
Particolarmente allarmanti, infine, le parole del presidente dell’Argentina, Alberto Fernández, che in pellegrinaggio al Cremlino da Putin lo scorso febbraio per “chiedere finanziamenti”, ha addirittura offerto il suo paese alla Russia come “porta d’accesso” all’America Latina. Un progetto che se andasse in porto avrebbe conseguenze tragiche dal punto di vista geopolitico per gli Stati Uniti.
Foto Ansa
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