Il coraggio dell’imperfezione

Di Frangi & Stolfi
10 Novembre 2000
Può un morto essere più vivo della quasi totalità dei vivi che scrivono sui giornali?

Può un morto essere più vivo della quasi totalità dei vivi che scrivono sui giornali? È la domanda che ogni onesto lettore sente salir su dallo stomaco ogni volta che, per un motivo o per un altro, torna a riafforare la presenza di Pasolini. In questi giorni, in particolare, ricorrendo i 25 anni dalla sua morte, le occasioni sono state tante, dall’inedito della fine anni Sessanta pubblicato da Repubblica, alla violentissima lettera contro Piero Ottone proposta da Corriere della Sera. Senza contare le schegge di articoli, di poesie, di interviste buttati nel calderone delle commemorazioni. Se ci fate caso, è difficile che l’occhio passi oltre veloce; ogni volta è come se un granello si fosse fermato sotto la palpebra e costringe a vedere la realtà comunque con un sentimento diverso. Pasolini non lo si legge; in Pasolini ci si inciampa. I più altezzosi poi si ridaranno una lucidata alle scarpe e andranno oltre. I più semplici di cuore si troveranno invece ogni volta con la faccia a terra, di nuovo a tu per tu con le cose e con la realtà. Leggete la scazzottata d’insulti all’intoccabile Ottone. Leggete quella teorizzazione secondo cui la poesia “è escremento oggettivato”. Vi domanderete da dove gli viene, ogni volta, quella forza. Ce lo siamo chiesti noi. E abbiamo azzardato una risposta: la forza di Pasolini è il coraggio dell’imperfezione.

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