Il commissariamento dignitoso non è roba per il nostro governo

Di Oscar Giannino
29 Agosto 2011
Pubblichiamo in anteprima l'editoriale di Oscar Giannino, che troverete sul numero 34 di Tempi, in uscita giovedì 25 agosto. Il giornalista commenta la manovra finanziaria bis varata dal governo, definendola un'occasione persa

Mentre scrivo mancano ancora una decina di ore al Consiglio dei ministri incaricato di varare la manovra bis per rassicurare i mercati. Di conseguenza manca ancora il dettaglio dei provvedimenti che il governo alla fine avrà deciso di assumere. Si conosce un’ampia forbice di misure che l’esecutivo ha esaminato, ma quando leggerete sarete molto in vantaggio rispetto a me ora, perché le decisioni saranno note nel dettaglio e avranno già costituito oggetto di ampie ed estese critiche. Tuttavia quel che si sa ora mi basta per esprimere una personale valutazione. Che non impegna nessuno e discende dal mio punto di vista, minoritario come sempre. Primo: l’autocontraddizione è evidente. È uscita sconfitta la linea di chi ha detto per anni che non saremmo finiti nel pieno dei sospetti di insolvibilità pubblica. La cosa è grave perché non eravamo in pochi a dire invece che sarebbe avvenuto, stante che la linea tedesca perseguita per un anno e mezzo avrebbe portato esattamente al ribasso di paesi come l’Italia, troppo grandi per fallire e dunque da indurre politicamente a cambiare linea assumendo quella di un maggior rigore. 

 

Secondo: bisognava approfittarne. Una volta che lo spread dei Btp era giunto a quota 400 sul Bund, senza aspettare la lettera Draghi-Trichet che ci metteva in mora per l’intervento di tutela della Bce sui titoli italiani, occorreva fare quel che sinora il centrodestra aveva sempre accuratamente evitato di fare. Cioè affermare che degli 800 miliardi di euro a cui ammonta la spesa pubblica italiana un buon centinaio sono di troppo, non tanto per fare un numero che impressionasse l’Europa ma perché effettivamente è quella la cifra a cui si arriva se sommiamo i due punti e mezzo di Pil che ogni anno paghiamo alle pensioni in più della media europea, e la crescita fuori linea negli ultimi sei anni di alcune componenti “pesanti” dei consumi pubblici intermedi, come la spesa di forniture sanitarie aumentata del 50 per cento e che da sola pesa 80 miliardi.

 

Terzo: contentare tutti non si può. Riallineare drasticamente la spesa pubblica avrebbe significato colpire interessi, ed è questo che occorre fare nelle grandi difficoltà. Pretendere di tenere insieme Confindustria promettendo la modifica imperativa dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e privatizzazioni e liberalizzazioni dei servizi pubblici locali, e il sindacato colpendo con una pesante addizionale fiscale chiunque sia oltre i 90 mila euro di reddito lordo, è una mera illusione. Quarto: pensioni e privatizzazioni. La mia opinione è che un centrodestra coerente alle sue promesse mai mantenute in 17 anni ha avuto l’ultima occasione, di fronte alla clamorosa autosmentita cui era costretto. Poteva e doveva dire agli italiani che a questo punto occorreva un drastico intervento capace di ridare equilibrio strutturale alla finanza pubblica per i prossimi anni, tutto sul versante della spesa, liberando diversi punti di Pil per meno tasse subito e più crescita domani, e senza colpire redditi e consumi attuali. Di conseguenza occorreva l’intervento abbatti-spesa di cui sopra, concentrato soprattutto su un aumento molto più consistente dell’età pensionabile. Sia di quella per i trattamenti di anzianità – si trattava di passare dall’attuale “quota 96” a quota 103-105 in 5 anni – sia per quelli di vecchiaia – deliberando da subito equiparazione per uomini e donne a 67 anni sia nel pubblico sia nel privato.

 

Tali misure draconiane da sole producono un alleviamento dei saldi di circa i due terzi dei 100 miliardi di cui ipoteticamente parlo. A questo, andavano affiancate misure di privatizzazione per invertire l’andamento del debito, cominciando dal patrimonio immobiliare perché le resistenze sui servizi pubblici locali saranno infinite, e associando le Autonomie a parte dei proventi, per rendere meno infuocata la trattativa sui tagli aggiuntivi alle loro spese correnti. Quinto: l’errore ennesimo sulle tasse. La strada preannunciata dal centrodestra è stata diversa. Tra chi anche nella maggioranza – la Lega – è contrario a drastiche modifiche dell’età pensionabile, e chi pensa che Berlusconi abbia sbagliato a prendere sul serio la linea Draghi-Trichet, si è tentata la strada del “di tutto un po’” compreso l’ennesimo maxi prelievo addizionale fiscale, riservato ad autonomi e ai redditi sopra la linea mediana. È un errore secondo me politico, finanziario e per gli effetti sulla crescita. È un errore anche se l’opposizione avrebbe inciso sui patrimoni ancor più duramente. Posso sbagliare, naturalmente. Ma se le misure saranno come sono state prospettate, i miei auguri a questo centrodestra per le elezioni, qualunque sia la loro data. Si può essere commissariati perché si è seguita una linea sbagliata, e trasformare l’evento in occasione per fare tutto quanto non si ha avuto il fegato di far prima. Oppure confermare l’idea che è giusto restare commissariati, perché quel fegato non lo si ha proprio.

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