Il colombiano che sferzò il secolo

Di Valenti Francesco
10 Maggio 2001
Si può scrivere un libro di 1.000 aforismi senza sfoggiare snobismo e scetticismo di maniera? Nicolas Gomez Davila, finora sconosciuto scrittore colombiano che possedeva tutti i libri del mondo tranne quelli di Gabriel Garcia Marquez, ci è riuscito. Sette anni dopo la sua morte diventa disponibile la traduzione italiana per i tipi di Adelphi, sotto il titolo “In margine a un testo implicito”

Il libro di questo ignorato scrittore colombiano è, semplicemente, un miracolo e un capolavoro. Miracolo, perché nella massa informe dei milioni di testi pubblicati in Italia, da Santa Fe de Bogotá, che per noi è solo il luogo dove nessuno esce più di casa per non rischiare di saltare in aria, è ancora possibile che ci raggiunga un tesoro, attraverso la selezione di un’editoria solitamente più proclive a censurare che a trasmettere. Capolavoro apparirà in modo immediato e semplice a chi lo legga. Sono circa mille aforismi che compongono il “commento a un testo implicito”. Da questi “pensieri improvvisi” emerge una tale chiarezza godibile, da assicurarne la scorrevolezza di lettura insieme alla permanenza nella memoria. In essi campeggia la solitudine e l’offerta di chi ha cercato di osservare, in sé e nel mondo, senza tradimenti, una verità sempre in agguato, anche tra le miserie. I pensieri si dipanano liberi, senza ingabbiarsi né in uno sdegnoso moralismo alla Marco Aurelio, né in quello scetticismo nichilistico, che pare spesso di maniera, alla Ceronetti, né in un vuoto esercizio di sputo sul mondo alla Arbasino. Lo stile è sempre carico di significato e profondo senza essere affettato, più simile allo stile poetico che a quello della satira. Talora sembra emergere la grazia di un pensiero fulmineo di Catullo, talora l’ira mordace di Dante o l’ironia sociale di Wilde e Flaiano.

Eliot, Dostoevskij e Leopardi. Ma niente Marquez
Come ci informa nella sua fedele nota il curatore Franco Volpi, questo coltissimo aristocratico colombiano, nato nel 1913 e morto nel 1994, ha raccolto una biblioteca di trentamila volumi, nella quale è presente tutta la letteratura del mondo, ma non è presente un solo libro del suo concittadino e premio nobel per la letteratura Garcìa Márquez. Muovendo dalle sue vaste letture, Gómez Dávila costruisce, attraverso qualche volume, un unico libro, del quale non ci fornisce il testo, ma le glosse, le note, i margini, gli scolii. Pertanto, il testo vero e proprio rimane implicito, e con questo lo scoliaste Gómez Dávila sfugge all’oltraggio oppressivo della filosofica del nostro tempo che ha costruito le sue fortune sul non detto. In questa direzione va intesa la sua dichiarazione di essere un “reazionario”. Dal momento che le parole sono definite dal contesto del mondo di cui vivono, lo scrittore colombiano le ricompone per assenza di contesto, e questo gli permette di dire ancora parole che affermano un mondo pieno di senso, senza indulgere né al sentimentalismo romantico né al disastrismo nietzschiano. Cattolico “contro la Chiesa, dentro la Chiesa”, Gómez Dávila osserva con dolore la trasformazione del pensiero tradizionale e dialoga attorno ad esso con gli antichi pagani, con gli scettici, con gli eretici e con i Pound, i Pascal, gli Eliot, i Dostoevskij, i Baudelaire, i Leopardi. Leggendo gli splendidi aforismi di Gómez Dávila si ripercorre perciò con perfetta precisione la storia del pensiero del XX secolo da un angolo di visuale acutamente latino-americano, se ne esaminano le terribili illusioni, le sanguinarie conseguenze e l’inesorabile vuoto finale. Il pensiero rivoluzionario borghese e il marxismo, la psicoanalisi e la teologia della liberazione, i linguaggi dell’errore moderni vengono sferzati con tale precisione da uscire per sempre dalla storia di un mondo che può ancora mutare.

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